Dopo 25 interminabili giorni di combattimenti, violenze e morte, alla fine è stato aperto il valico di Rafah per consentire “l’evacuazione limitata da Gaza”. Il passaggio che collega la Striscia con l’Egitto è rimasto operativo soltanto per qualche ora, come riferisce Reuters, consentendo a circa 400 stranieri e 80 feriti palestinesi di raggiungere il Cairo, lasciandosi alle spalle quello che hanno definito “un inferno in terra”.
I terroristi di Hamas a Netanyahu: ci sarà un nuovo 7 ottobre. Secondo la Bbc Israele bombarda pure le safe zone concordate
Chiaramente aver permesso il passaggio di poco più di 500 persone, a fronte di una popolazione residente nella Striscia che supera i 2 milioni di individui, non è altro che una goccia nel mare ma è il segno di come la diplomazia, soprattutto quella del Qatar che si è spesa in prima persona per raggiungere questo traguardo, stia facendo il possibile per i palestinesi che sono vittime di Hamas proprio come lo sono gli israeliani. Apertura del valico che ha ricevuto il plauso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che, però, ha ricordato che ci sono ancora decine di migliaia di persone che hanno bisogno di servizi sanitari urgenti che non vengono forniti a causa della mancanza di medicinali e di altre forniture essenziali tra cui il carburante che è necessario per far funzionare i generatori elettrici degli ospedali.
L’apertura del valico di Rafah è l’unica notizia positiva
Purtroppo l’apertura del valico di Rafah è l’unica notizia positiva di una giornata estremamente pesante iniziata con l’avanzata, letteralmente inesorabile, delle truppe israeliane all’interno della Striscia. “Siamo alle porte di Gaza City” ha esultato in mattinata il generale Itzik Cohen, comandante della 162/a divisione dell’esercito israeliano, aggiungendo che le forze armate sono ora nel profondo della Striscia e che “Hamas ha scelto questa guerra, noi non abbiamo scelto questo conflitto ma lo vinceremo”.
L’esercito israeliano ha letteralmente accerchiato Gaza
Esercito israeliano che ha letteralmente accerchiato la città, riuscendo a tagliare l’autostrada principale e la strada parallela lungo la costa mediterranea così da dividere in due la Striscia. Ma è dentro la città dove la situazione si fa più pesante, con continui scontri a fuoco tra soldati israeliani e terroristi. “Siamo in una guerra difficile. Sarà una guerra lunga. Abbiamo ottenuto importanti risultati, ma anche perdite dolorose”, ha spiegato il premier Benyamin Netanyahu. “Sappiamo che ognuno dei nostri soldati è un mondo intero. L’intera nazione di Israele abbraccia voi, le famiglie, dal profondo dei nostri cuori. Siamo tutti con voi nel momento di grande dolore”, ha dichiarato il primo ministro di Israele annunciando che 12 militari hanno perso la vita nei feroci scontri con i miliziani di Hamas: “I nostri soldati sono caduti in una guerra ingiusta, la guerra per la nostra casa. Prometto a voi cittadini di Israele: completeremo il lavoro. Continueremo fino alla vittoria”.
Una guerra sanguinosa in cui non è mancato il solito bagno di sangue con il secondo bombardamento del campo profughi di Jabalia che ospita 116 mila disperati. Ieri sono morte “più di 50” persone e si contano centinaia di feriti secondo quanto riferisce il ministero della Sanità del governo di Hamas. Un massacro che per l’esercito di Israele è stato inevitabile perché i terroristi si celano dietro “gli scudi umani” e perché all’interno del campo profughi, secondo Tel Aviv, si celava Ibrahim Biari, ossia uno degli uomini ritenuti responsabili dell’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre, che sarebbe morto nel bombardamento. A renderlo noto è stato il portavoce delle forze israeliane, Jonathan Conricus, che in relazione alle vittime civili si è difeso sottolineando che l’esercito li ha ripetutamente invitati ad evacuare il nord della Striscia di Gaza in quanto ritenuto “zona di guerra” ma con scarsi risultati. Peccato che nella Striscia non esisterebbe alcuna zona sicura visto che ieri, come raccontato dalla Bbc e dalle Nazioni Unite con il segretario Antonio Guterres che si è detto “sconcertato per gli ultimi raid, è stata colpita molto duramente anche la safe zone indicata da Israele.
Tutti motivi per i quali il mondo arabo è letteralmente in ebollizione con Hamas che ha promesso che “ripeteremo le azioni del 7 ottobre ancora e ancora finché Israele non sarà distrutto” e gran parte dei leader mediorientali che protestano per la condotta di guerra di Israele. Tra questi soprattutto l’Arabia Saudita e l’Iran che hanno condannato “con la massima fermezza” il bombardamento del campo profughi di Jabalya parlando di “indicibili atrocità” e denunciando quelli che definiscono “crimini di guerra”. Tutte tensioni che hanno portato a una gigantesca proteste di piazza a Tunisi con i manifestanti inferociti che hanno raggiunto l’ambasciata francese per scandire slogan con chi hanno chiesto ad Emmanuel Macron di denunciare la condotta di Israele ed esprimendo sostegno alla resistenza armata palestinese. Una situazione di altissima tensione su cui continua a gettare benzina sul fuoco il leader supremo dell’Iran, Ali Khamenei, che ieri ha tuonato: “i bombardamenti contro Gaza devono cessare immediatamente e le vie per le esportazioni di petrolio e cibo verso il regime israeliano devono essere bloccate dai Paesi musulmani, che non dovrebbero avere cooperazione economica con il regime israeliano. Il mondo musulmano deve mobilitarsi contro il regime”.
Netanyahu tenta di convincere il governo di Al-Sisi ad accogliere nel Sinai i palestinesi
Ma se fino a ieri a preoccupare Israele era soprattutto il confine con il Libano, nelle ultime ore l’attenzione si sta spostando sulla frontiera con l’Egitto per via del possibile piano di Tel Aviv, trapelato sui media, di spostare i palestinesi dalla Striscia di Gaza alla penisola del Sinai, ossia in territorio egiziano. Una proposta che il Cairo aveva immediatamente rigettato con il presidente Abdel Fattah al-Sisi che era arrivato ad ammonire Israele dicendo che portare avanti questo piano equivarrebbe a una dichiarazione di guerra. Ma ieri, secondo il sito Ynet, Netanyahu non si sarebbe rassegnato e avrebbe proposto di cancellare, attraverso la Banca Mondiale, una parte del debito dell’Egitto pur di convincere il governo di Al-Sisi ad accogliere nel Sinai i palestinesi. Sempre secondo il sito al-Sisi si sarebbe molto contrario al punto che nel pomeriggio di ieri ha schierato dozzine di carri armati e veicoli corazzati vicino al checkpoint di Rafah, al confine con la Striscia di Gaza.