di Clemente Pistilli
Gli sperperi di denaro pubblico dopo il terremoto dell’Irpinia sono ormai pagine di storia patria. La novità è che per vicende che risalgono a oltre trenta anni fa soltanto dopo ventuno anni di battaglie nelle aule di giustizia lo Stato forse riuscirà a recuperare qualcosa. Per uno dei simboli dei fondi pubblici andati in fumo, gli oltre 12 miliardi di vecchie lire concessi alla Castelruggiano spa per realizzare un’azienda di imbottigliamento di vini che non ha mai visto la luce, i giudici della III sezione d’appello della Corte dei Conti hanno ora emesso una sentenza, condannando l’Italtecna e i componenti della commissione di collaudo a risarcire quattro milioni di euro. Salvo un ricorso e un eventuale ribaltamento del provvedimento in Cassazione, qualcosa dovrebbe così rientrare al Ministero dello Sviluppo Economico.
La storia
Secondo gli accertamenti compiuti dall’apposita commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, per ricostruire i paesi danneggiati dal terremoto e aiutare le aziende di quelle zone lo Stato ha investito 50.902 miliardi di vecchie lire. Somme enormi, troppe finite nelle tasche di truffatori e camorristi. Uno dei casi più dibattuti è stato quello della Castelruggiano di Paolo Marzorati, società che secondo gli inquirenti sarebbe stata creata ad hoc per compiere un raggiro e che comunque non avrebbe avuto le caratteristiche necessarie per accedere alla cosiddetta legge terremoto, incassando così enormi finanziamenti a fondo perduto per realizzare un opificio. La Castelruggiano avrebbe dovuto dar vita a una grande azienda di imbottigliamento a Oliveto Citra, un paesino in provincia di Salerno. La Bnl, incaricata di un primo esame sul progetto, sollevò dei dubbi, ma il consorzio Italtecna, nonostante venissero esibite fatture gonfiate e le opere non venissero ultimate, diede sempre l’ok. Arrivarono i 12 miliardi, dell’opificio non se ne fece nulla, la spa fallì e lo Stato non è ancora riuscito a recuperare un centesimo. Una vicenda oggetto di un’inchiesta e di un processo a Salerno, finito in prescrizione, e che ha portato a un accertamento della Corte dei Conti, giunto ora in appello a una condanna a risarcire quattro milioni di euro.
I controlli facili
Italtecna era un consorzio composto dalle società Bonifica, Infrasud, Spea e Italeco, del gruppo Iri Iritecna, a cui con apposita e ricca convenzione il ministro democristiano Vincenzo Scotti aveva affidato il compito di curare l’istruttoria e vigilare sui progetti per i quali veniva chiesto il finanziamento nei centri colpiti dal sisma del 23 novembre 1980. L’operato del consorzio, in base ai diversi accertamenti compiuti, non sarebbe però stato brillante ed è ora in liquidazione, affidato all’avvocato Corrado Crialese, già consigliere di amministrazione di Fintecna. E proprio l’assenza di reali controlli sarebbe stata causa dello sperpero legato a Castelruggiano.
Il Processo
Nell’ormai lontano 1992 la Procura citò così a giudizio la Italtecna e i componenti della commissione di collaudo dell’opificio mai ultimato, che avrebbero contribuito a far perdere miliardi allo Stato, chiamandoli a risarcire 12.202.000.000 di vecchie lire. Una battaglia giudiziaria estenuante, che nel 2009 ha però visto la Corte dei Conti della Campania condannare il consorzio e i collaudatori a risarcire 6.300mila euro. Tutti hanno fatto appello e ora, in secondo grado, sono state confermate le condanne con un po’ di sconto, specificando che i soldi pubblici sono stati letteralmente dilapidati. Italtecna dovrà risarcire 2.400mila euro e i componenti della commissione di collaudo Giovanni Rega, Bruno Fiorentino, Bruno Berardi, Fabio Pascucci, Umberto De Rosa e Giovanni Della Corte 266.666 euro a testa. Lo sconto è arrivato perché lo Stato non è riuscito neppure a recuperare qualcosa dall’assicurazione, avendo perso la polizza fideiussoria.