Di Gaetano Pedullà
L’appello commovente della madre, solo pochi giorni fa, non ha potuto nulla. Anche il secondo ostaggio americano in mano ai miliziani dello Stato islamico, il povero reporter Stefen Sotloff, è stato decapitato da un fanatismo che non conosce pietà, deciso ad alzare fino alle massime conseguenze la sfida agli Stati Uniti e all’Occidente.
Un gesto terribile che ci ricorda di essere in guerra. Perché le migliaia di raid aerei Usa o il fornire armi agli eserciti che stanno contrastando i jihadisti vale quanto una dichiarazione di guerra. E in questo conflitto ci siamo ormai tutti, con l’Italia che sta pagando un prezzo altissimo anche in termini di assistenza alle migliaia di profughi in fuga da quell’orrore (solo ieri sono tremila i migranti salvati in mare). Di questa guerra però non c’è ancora una percezione diffusa. Come se fosse la guerra di altri, mica la nostra.
E i video shock o la minaccia di attentati, rilanciata anche ieri, continuano ad essere ignorati da governi che insieme potrebbero scendere in campo con una tale forza (diplomatica e militare) da imporre negoziati e smontare prima che sia troppo tardi una pericolosissima catena dell’orrore. Purtroppo invece il mondo resta sordo. E anzi prepara un altro terreno di conflitto, questa volta in Ucraina. Perché restiamo sordi o, se va bene, ci limitiamo a regalare un po’ di vecchi fucili ai nemici meno nemici di oggi (che potrebbero diventare i peggiori nemici di domani)? Perché l’Occidente ha la coscienza sporca, perché ha usato il Medio Oriente per decenni come valvola di sfogo della guerra fredda e poi ha finanziato gli stessi terroristi che oggi tagliano le teste e ci minacciano. Interessi economici, soprattutto petroliferi, e geopolitici che hanno fatto di una vasta area del mondo una polveriera pronta adesso ad esploderci addosso. Non solo gli Stati Uniti hanno sbagliato enormemente.
Pure l’Europa, che in politica estera è appena una entità astratta, priva di un esercito e con i singoli Paesi abituati ad agire in ordine sparso inseguendo solo il proprio tornaconto, ha fatto i suoi giochetti. Come in Libia, dove ormai le tribù sono in guerra aperta tra di loro e lo stato è disintegrato. C’è ancora modo di bloccare questo incendio? La storia delle Crociate non ci ha insegnato nulla? Il mondo arabo è un pantano dentro il quale l’Occidente ha sempre perso. E continuerà a perdere fin quando continuerà ad armare e finanziare oggi un regime e domani un altro. È il momento allora di una grande conferenza, in cui tutti i Paesi più che rinfacciarsi gli errori del passato prendano atto dei pericoli che corriamo. Washington quanto Mosca. Londra quanto Roma o Berlino. Non decidiamo più noi per loro ma mettiamo l’Allenza araba in condizioni di gestire le crisi locali e se serve di colpire duramente i fanatici, a patto però che siano lasciati veramente senza più viveri. L’Isis, al-Queda e i mille movimenti che ribollono in quell’area sono un nemico imbattibile per i despoti locali, come Assad, soprattutto se possono contare su fondi esteri (chi gliele da le armi?) o su simpatie che vanno dai fratelli musulmani dall’Egitto alla Turchia.
Ma questi stessi terroristi sono ancora battibili se l’Occidente capirà in tempo a quali guai va incontro e piuttosto che delegare ai soli Stati Uniti il presidio dell’area, inizierà ad intervenire compatto non per imporre la tutela di questo o quello ma per aiutare quei Paesi ad autodeterminarsi da soli. Anche a costo di riscrivere una mappa geografica fatta da chi ha avuto il suo interesse a tenere uniti in un unico Stato sunniti e sciiti, a non dare una patria ai curdi, a privare di un suo destino la Palestina. Svegliamoci, prima che questa guerra che stiamo combattendo a nostra insaputa ci svegli con il fragore delle bombe. Non nel deserto, ma a casa nostra.