L’argomento, si sa, è ridiventato bollente. Il merito è dell’ormai famosa intercettazione in cui Matteo Renzi intima a papà Tiziano di dire la verità in vista di un interrogatorio davanti ai pm di Roma. In realtà, come ha scoperto La Notizia, l’incandescente tema delle intercettazioni era già stato preso in carico a partire dal 3 maggio scorso, ben prima della rivelazione della conversazione tra i Renzi. Ad affrontarlo, in particolare, è stato il Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti guidato dal leghista Giacomo Stucchi. Dopo una pausa piuttosto lunga, che durava dal 29 marzo del 2017, tra il 3 e il 10 maggio il Comitato ha provveduto a inanellare ben 7 audizioni di altrettante società private operanti nel settore delle intercettazioni e della cyber security. Parliamo in pratica di quelle società a cui le procure si rivolgono proprio per le attività di ascolto.
Il dettaglio – La decisione del Copasir, comunque la si voglia vedere, desta una certa sorpresa, soprattutto se si considera che dal 2013, inizio della legislatura, è la prima volta che l’organo bicamerale effettua audizioni di queste società. Ad ogni modo lo scorso 3 maggio sono stati sentiti i vertici di Area Spa, Ips Spa, Sio Spa e Cyber Intuition Srl. Il successivo 9 maggio è stata la volta dell’Hacking Team, la società di cyber security assurta agli onori della cronaca nel luglio 2015 per aver subìto la sottrazione di 400 giga di file riservati. Infine il 10 maggio sono stati ascoltati i vertici delle società Sind Srl e Reaqta Srl. Ma cosa si sono detti in quei 10 giorni i parlamentari del Copasir e gli “intercettatori”? Naturalmente i contenuti delle audizioni, vista la sensibilità dei temi trattati dal Copasir, sono riservati. Eppure alcune ipotesi si possono fare, soprattutto in funzione dell’attualità del tema.
Sul punto La Notizia ha contatto Tommaso Palumbo, presidente dell’Iliia, l’associazione tra le società che effettuano intercettazioni, alla quale aderiscono alcuni degli operatori coinvolti nelle audizioni. Palumbo ovviamente ha premesso di non sapere nel dettaglio i contenuti del confronto parlamentare. Ma ha spiegato quali sono i temi “sensibili” per la categoria. Innanzitutto i costi del sistema. “Già in passato avevamo presentato al Ministero della giustizia un documento con delle ipotesi di razionalizzazione delle spese”, ha argomentato Palumbo, che ha citato tre punti qualificanti: “la riappropriazione da parte dello Stato di alcune funzioni, per esempio le attività di registrazione per le quali già adesso esistono strutture ad hoc nelle procure; la fissazione di un listino unico nazionale delle attività fornite alle procure, in modo da poter prezzare con più precisione i servizi di volta in volta resi; la riqualificazione delle reti di comunicazione utilizzate dallo Stato, per esempio la rete interforze”.
L’analisi – Con questa ricetta, secondo l’Iliia, lo Stato potrebbe risparmiare molti soldi. Ma come si spiega che un settore imprenditoriale chieda allo Stato di limitare le richieste di acquisto? Semplice, ha fatto notare Palumbo, “perché lo Stato paga molto tardi i servizi resi dalle società che fanno intercettazioni, anche se, dopo il picco di pagamenti a 720 giorni toccato nel 2008, adesso la situazione è un po’ migliorata”. Insomma, l’associazione di settore sembra orientata a chiedere di fare di meno per lo Stato, purché il ministero sia in grado di pagare più puntualmente. Poi però ci sono anche lati opachi del mondo degli operatori degli ascolti. Un recente articolo del Corriere della Sera ha spiegato come dietro molte di queste società ci siano fondi esteri e fiduciarie, ovvero quei veicoli utilizzati per schermare i veri proprietari. Una geografia che induce a chiedersi in che mani finiscano le intercettazioni. Su questo Palumbo ha provato a difendersi spiegando “che l’ingresso nell’azionariato dei vari fondi esteri e delle fiduciarie si deve proprio al periodo in cui lo Stato pagava in tempi lunghissimi, ritardi che hanno portato gli operatori a dover cercare nuovi azionisti disposti a sostenerli”. Ma il tema della trasparenza rimane. E lo stesso presidente Iliia si dice disposto ad accettare un albo nazionale dei fornitori delle procure. Si vedrà. Nel frattempo il Copasir ci sta buttando un occhio.
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