Non è incostituzionale la norma che impone al giudice di chiedere alla Camera di appartenenza del parlamentare l’autorizzazione a utilizzare in giudizio, come mezzi di prova, i tabulati telefonici di utenze intestate a terzi, venute in contatto con quella del parlamentare. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza 38 (relatore Nicolò Zanon) depositata oggi, spiegando che il riferimento, nel terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione, a “conversazioni o comunicazioni” induce a ritenere che siano coperti dalla garanzia costituzionale anche i dati ad esse “esteriori”, in quanto “fatti comunicativi” ricavabili da un tabulato: data e ora delle conversazioni o delle comunicazioni, durata, utenze coinvolte.
Del resto, il termine “comunicazioni” ha, tra i suoi comuni significati, quello di “contatto”, “rapporto”, “collegamento”, ed evoca proprio i dati e le notizie che un tabulato telefonico è in grado di rivelare. La questione era stata sollevata dal Gip del Tribunale di Bologna, secondo il quale il terzo comma dell’articolo 68 della Costituzione imporrebbe l’autorizzazione della Camera solo per sottoporre i membri del Parlamento a intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, senza menzionare i tabulati.
La legge ordinaria avrebbe quindi esteso illegittimamente l’ambito di applicazione della prerogativa costituzionale. La Corte costituzionale, però, non è stata d’accordo. Tra l’altro, la sentenza rileva che la ragion d’essere della garanzia costituzionale non è la tutela della privacy del parlamentare bensì della libertà della funzione che egli esercita, in conformità alla natura delle immunità parlamentari, dirette a proteggere l’autonomia e l’indipendenza delle Camere rispetto a indebite invadenze di altri poteri e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti in favore di chi è investito della funzione. Per queste ragioni, la garanzia si estende all’utilizzo in giudizio del tabulato telefonico, in quanto atto idoneo a incidere sulla libertà di comunicazione del parlamentare.