Intercettazioni, il limite di 45 giorni che uccide la verità: ecco perché la riforma taglia le gambe alle indagini

I magistrati denunciano: il limite di 45 giorni alle intercettazioni è un colpo alle indagini e un favore ai criminali.

Intercettazioni, il limite di 45 giorni che uccide la verità: ecco perché la riforma taglia le gambe alle indagini

Il 20 novembre 2024, la Commissione Giustizia della Camera ha dato il via alle audizioni sulla proposta di legge che introduce un limite massimo di 45 giorni per le intercettazioni. Un provvedimento che, già approvato al Senato, ha scatenato le critiche di magistrati e operatori del diritto. Il coro è unanime: la norma rischia di agevolare la criminalità e di compromettere indagini complesse e delicate.

Nuovo limite alle intercettazioni, la preoccupazione della magistratura

Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm), ha espresso forti perplessità: “Un’indagine non è un cronometro. L’efficacia delle intercettazioni si misura non solo sui risultati diretti, ma anche sull’assenza di riscontri, che può orientare l’investigazione”. La limitazione temporale, sostiene Santalucia, potrebbe trasformare uno strumento essenziale in un meccanismo paralizzato dai vincoli burocratici.

Raffaele Cantone, procuratore di Perugia, ha rincarato la dose, definendo la norma “metodologicamente inadeguata”. Secondo lui, le indagini richiedono elasticità e tempi variabili, non scadenze rigide che rischiano di tagliare fuori elementi chiave scoperti a ridosso del limite.

Dello stesso avviso è Vincenza Maccora, presidente aggiunto dei Gip di Milano, che ha denunciato i rischi di lasciare irrisolti reati gravi, come omicidi e violenze sessuali non legati alla criminalità organizzata. “Le intercettazioni non sono solo uno strumento, sono un percorso investigativo indispensabile. Ridurlo a un limite temporale fisso è come spegnere una luce in una stanza ancora da esplorare”.

Anche Paolo Storari, sostituto procuratore a Milano, ha definito il disegno di legge un “grave arretramento”: “Le intercettazioni non servono solo per individuare responsabili, ma per delineare reti criminali e comprendere dinamiche complesse. Limitare i tempi significa frammentare la visione complessiva”.

Le eccezioni e i nodi della norma

Il disegno di legge prevede deroghe per reati di mafia e terrorismo, lasciando il limite dei 45 giorni per altre tipologie di reati. Tuttavia, le proroghe saranno possibili solo dimostrando l’assoluta indispensabilità delle operazioni, con motivazioni dettagliate e concrete. Per molti magistrati, questa stretta burocratica equivale a rendere inutilizzabili strumenti decisivi per reati come corruzione, stragi e criminalità economica.

Alfredo Bazoli, senatore del Partito Democratico, ha definito la norma “un atto politico mascherato da riforma”. Secondo Bazoli, imporre un limite temporale così drastico, senza un’analisi approfondita, è un errore che avrà ricadute gravi sull’efficacia delle indagini.

Le difese della maggioranza sulle intercettazioni

La maggioranza respinge le critiche. Pierantonio Zanettin, relatore del disegno di legge, ha spiegato che il limite di 45 giorni nasce per contrastare le proroghe automatiche, imponendo una maggiore responsabilizzazione nell’uso dello strumento. “Non è una norma contro le indagini, ma una norma di buon senso, pensata per garantire trasparenza ed equilibrio”, ha dichiarato.

Eppure, per molti osservatori, questa riforma si inserisce in una strategia più ampia di ridimensionamento degli strumenti investigativi. Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e ora senatore del Movimento 5 Stelle, ha denunciato il provvedimento come “un attacco alla lotta alla criminalità organizzata, mascherato da riforma tecnica”. Secondo lui, la norma è un favore alle grandi reti di corruzione, che si muovono con tempi e dinamiche incompatibili con i limiti imposti.

Le implicazioni future

Mentre la Camera si prepara a votare, i magistrati lanciano un ultimo allarme. Il rischio, sottolineano, è che questa norma diventi il cavallo di Troia per una revisione complessiva degli strumenti investigativi, rendendo le intercettazioni sempre più inefficaci. “Non è solo una questione tecnica, ma una battaglia culturale. Decidere quanto tempo può avere la verità per emergere è un atto politico che incide sulla giustizia e sulla democrazia”, ha concluso Cantone.

Il destino della riforma è ancora incerto, ma il dibattito ha già mostrato le sue implicazioni più profonde. In un Paese dove la criminalità organizzata è spesso più rapida dello Stato, i magistrati chiedono di essere messi nelle condizioni di correre, non di inciampare. La giustizia, dicono, non può essere un conto alla rovescia.