È la legislatura dei partiti nati in laboratorio, dove l’ingegneria parlamentare ha sfornato nuovi soggetti che vengono presi terribilmente sul serio da stampa e televisioni accreditandosi uno spessore elettorale che nessuno ha mai potuto verificare e che prevedibilmente si scioglierà come neve al sole alle prossime elezioni politiche.
L’ingegneria parlamentare ha sfornato nuovi partiti che vengono presi terribilmente sul serio da stampa e Tv
Luigi Di Maio è solo l’ultima figurina di un Parlamento in cui un partito a ciascuno non si nega nessuno. Se a questo si aggiunge che siamo a fine legislatura, dove avere un parlamentare in più pesa eccome nell’economia di sopravvivenza del governo, ci rendiamo conto che gli artifizi di palazzo sono inevitabili per guadagnare un po’ di tempo mentre si progetta l’autopreservazione.
Luigi Di Maio decide di uscire dal Movimento 5 Stelle dicendo di avere cambiato idea praticamente su tutto. L’ex capo politico del Movimento 5 Stelle che chiedeva l’impeachment per il Presidente della repubblica Mattarella è diventato il suo più grade sostenitore. Lo stesso che tuonava contro il Partito democratico per difendere la multa “per chi cambia casacca” e per chiedere una legge sul vincolo di mandato ora elogia il diritto al dissenso e al fondarsi il proprio partito.
Di Maio che tuonava contro Renzi e Calenda colpevoli di avere “fondato piccoli partiti personali” ora si è aggiunto al catalogo dei narcisismi politici. C’è un particolare non da poco: Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle è stato dirigente, ha ricoperto la posizione apicale all’interno dell’organizzazione e ha avuto quindi accesso a tutte le leve per dirigere il partito.
Non è una cosa da poco: il Di Maio che oggi ci spiega che non è vero che “uno vale uno” e che la regola del (suo) doppio mandato è sbagliata ha avuto l’opportunità di discutere di regole e di aprirne un dibattito. Invece se la svigna.
In molti aspetti la parabola di Di Maio è la parabola di Matteo Renzi. A capo del Partito Democratico il senatore di Rignano ha avuto tempo e modo di decidere la composizione parlamentare del partito, la selezione della sua classe dirigente, le direzioni da intraprendere a capo del governo, il tutto con un enorme appoggio popolare.
Come per di Maio la sensazione quella di trovarsi di fronte a chi dopo avere fallito la propria occasione di governo (del Paese e del partito) decide di rintanarsi in un angolo di cui si proclama proprietario, circondandosi solo dei propri fedelissimi. Italia Viva, com’è per il possibile prossimo partito di Di Maio, è una forza politica che nasce dal dissenso interno all’intento dei gruppi parlamentari e che agisce su un mandato rappresentativo che non ha nessun collegamento con l’esterno.
Non essendo mai passata da elezioni è una cosmesi parlamentare che si ritrova con una truppa di deputati e senatori che non riuscirebbero mai a entrare (e rientrare) in Parlamento passando dalle elezioni. È lecito? Certo che sì. Ma non è politica, è politicisimo. Ancora: Carlo Calenda è salito sul treno del Partito Democratico per poi crearsi il proprio partito personale circondato da azionisti (per uno scherzo del destino gli aderenti al suo partito si chiamano proprio così). E poi Gianluigi Paragone, con Italexit, quello che accadrà con Dino Giarrusso.
Il Parlamento è pieno di partiti che nella vita reale non esistono e che dovranno superare lo scoglio delle prossime elezioni. E convincere i cittadini sarà più difficile di compilare qualche modulo negli uffici del Parlamento per certificare la nascita di un nuovo gruppo.