Indice di corruzione percepita: l’Italia arretra dopo 13 anni

Nel 2024 perdiamo dieci posizioni. Superati in classifica anche da paesi come Arabia Saudita, Rwanda e Oman

Indice di corruzione percepita: l’Italia arretra dopo 13 anni

Col governo Meloni l’Italia viene percepita più corrotta. Il nostro Paese scende al 52° posto nella classifica globale dell’Indice di percezione della corruzione (Cpi) e al 19° posto tra i 27 Paesi membri dell’Unione europea. E’ quanto emerge dall’edizione 2024 che Transparency International ha pubblicato ieri.

Il Paese raggiunge un punteggio di 54, ossia due punti in meno dell’anno precedente, segnando la prima inversione di tendenza degli ultimi 13 anni. Nell’ambito di una tendenza alla crescita, con +14 punti dal 2012, registra il primo calo del punteggio finale, determinato in base a una scala che va da 0 (alto livello di corruzione percepita) a 100 (basso livello).

L’Indice di percezione della corruzione, elaborato annualmente da Transparency International, assegna un punteggio a 180 Paesi e territori di tutto il mondo in base alla percezione della corruzione nel settore pubblico, utilizzando dati provenienti da 13 fonti esterne.

I punteggi riflettono le opinioni di esperti. L’indice di percezione della corruzione 2024 fotografa nel complesso un’Europa occidentale in cui, pur rimanendo la regione con il punteggio più alto (64), gli sforzi per combattere la corruzione sono fermi o in diminuzione.

L’Italia di Meloni vanifica tutti i passi avanti fatti negli ultimi tredici anni

Il sistema italiano, si legge nel report, negli ultimi tredici anni, ha innescato positivi cambiamenti in chiave anticorruzione. Un risultato che è anche frutto delle misure anticorruzione adottate nell’ultimo decennio con l’applicazione di alcune normative in materia di whistleblowing e di appalti pubblici.

Dalla Legge anticorruzione 190/2012 alla Legge 179/2017 per la tutela di coloro che segnalano reati o irregolarità (whistleblower) di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito del rapporto di lavoro, fino alla trasposizione della Direttiva europea sul Whistleblowing con il D.Lgs. 23/2024.

Ancora, il ruolo dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che, negli ultimi anni, ha rafforzato la disciplina sugli appalti e creato un database pubblico che rappresenta un esempio regionale di rinnovata fiducia nei sistemi di trasparenza.

Ecco le riforme e le questioni irrisolte che hanno indebolito i progressi

Le più recenti riforme, però, ed alcune questioni irrisolte stanno però indebolendo i progressi del Paese nel contrasto alla corruzione ed incidono negativamente sulla capacità del sistema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico.

Dalla mancanza di una regolamentazione in tema di conflitto di interessi nei rapporti tra pubblico e privato, all’assenza di una disciplina in materia di lobbying. E ancora: sul tema dell’antiriciclaggio, il Paese è stato tra gli ultimi a rendere operativo il Registro dei titolari effettivi, per poi rinviarne l’implementazione – inficiando potenzialmente l’efficacia delle misure antiriciclaggio.

Finora, inoltre, è mancato il sostegno alla Direttiva europea anticorruzione, sulla cui proposta la Commissione Politiche dell’UE della Camera dei deputati ha espresso un parere motivato negativo (luglio 2023).

Fatto sta che in classifica siamo dietro Arabia Saudita e Qatar, Rwanda e Botswana, Fiji e Oman. Mentre a livello mondiale, è la Danimarca il Paese in cui si percepisce meno la corruzione.

Il duro commento di Busia (Anac): brusco salto indietro

“Il passaggio dalla 42esima alla 52esima posizione nella classifica globale dell’indice di Transparency International segna per l’Italia un brusco salto indietro, estremamente preoccupante, e vanifica tanti sforzi fatti negli ultimi anni, guadagnando credibilità interna ed internazionale”, ha detto Giuseppe Busìa, presidente dell’Anac.

“Purtroppo, pesano alcune scelte recenti, quali l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, che ha lasciato aperti diversi vuoti di tutela, o l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti di servizi e forniture fino a 140mila euro, che oltre a ridurre la trasparenza, rischia di far lievitare la spesa pubblica”.

“E pesa – ha continuato Busia – il mancato impegno rispetto a interventi normativi che a livello internazionale ci sollecitano da troppi anni, come l’assenza di una seria disciplina sulle lobby, non criminalizzatrice ma improntata alla assoluta trasparenza, e l’estensione delle regole su conflitti di interessi, sulle incompatibilità e sulle incoferibilità anche alle cariche politiche, mentre noi, pur con una normativa certamente da rivedere, ci siamo fermati a livello amministrativo e dirigenziale”.