di Nerina Gatti
Dopo le memorie di Nino “il Nano” Lo Giudice che si pentì, due volte arrivano le lacrime rivelatrici del dirigente della Polizia che indagò sul numero due della Direzione Nazionale Antimafia, Alberto Cisterna. L’ex pentito, che si era auto accusato degli attentati del 2010 nei confronti di alcuni magistrati della procura di Reggio Calabria, era agli arresti domiciliari. Scompare mercoledi scorso, venerdi fa recapitare un plico contenente un memoriale e un video in cui ritratta tutte le accuse e al tempo stesso afferma di esser stato indotto a mentire da quella che lui definisce “la cricca inquisitoria”di cui farebbero parte fra gli atri ’ex procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone ora a capo di quella romana e l’ex capo della Squadra Mobile reggina, Renato Cortese. Anche lui ora a Roma
Ricostruendo le pressioni subite,
Le accuse lanciate
Lo Giudice lancia accuse anche al procuratore aggiunto della DNA Gianfranco Donadio che si occupa delle indagini sulle stragi di Palermo. Secondo quanto rivelato dal “nano”, egli sarebbe stato interrogato da Donadio a Roma, e in effetti uno degli allegati del memoriale è un decreto di citazione per un colloquio investigativo. Ma Donadio fa anche parte della Commissione Centrale che giudica i pentiti e quindi il suo interrogatorio con Lo Giudice sarebbe quantomeno inappropriato. Secondo il “nano” lo scopo di quell’interrogatorio era quello di “impiantare una tragedia su persone che non conoscevo, malgrado la mia opposizione a tale richiesta ho subìto forti pressioni”. Sempre secondo il pentito, Donadio gli chiese se una di queste persone gli avesse confidato “qualcosa di molto serio sugli attentati di Borsellino “
Ma sono le ultime notizie, e non le dichiarazioni di un ex pentito che si ripente, a gettare nuova luce sull’indagine su Cisterna e sulla gestioni dei pentiti. Questa volta a rivelare di aver subito pressioni su quelle indagini è il capo della Mobile di Torino, Luigi Silipo all’epoca dei fatti numero due di quella reggina.
L’incontro con Pennisi
Luigi Silipo durante un incontro fortuito con il suo maestro, il sostituto procuratore Nazionale Antimafia Roberto Pennisi, riferendosi all’indagine su Cisterna, con le lacrime agli occhi confessò: “Sono stato costretto a farlo”. Questa è la choccante rivelazione contenuta nella dichiarazione resa da Pennisi, uno dei magistrati che ha fatto la storia del contrasto alla ‘ndrangheta, richiesta dai legali di Cisterna, nel procedimento in cui Cisterna è indagato per calunnia ai danni di Silipo.
Tutto è partito dall’esposto in cui Cisterna accusava Silipo di aver trasmesso un’informativa contenente una serie di errori al pm che indagava sulle presunte relazioni illecite tra lui e Lo Giudice.
Un esposto che ha avuto uno sviluppo processuale paradossale. Dopo l’archiviazione delle accuse nei confronti di Silipo, ecco che alcuni magistrati della procura reggina, in quel che sembra un accanimento nei confronti del numero due della DNA, decidono di procedere nei sui confronti per calunnia.
L’informativa di Silipo
Un’informativa quella di Silipo, dalla manca un’intercettazione fondamentale che avrebbe immediatamente scagionato Cisterna dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per la quale era indagato unicamente sulla base delle dichiarazioni del sedicente pentito e che non hanno mai trovato riscontro e che verrà archiviata dalla stessa procura. Ma ancor più inquietante è la decisione dei pm di non tener conto di una seconda informativa, depositata da un altro funzionario di polizia che invece conteneva l’intercettazione discolpante. Inoltre, l’informativa “sbagliata” e coperta da segreto istruttorio, viene stranamente trasmessa da Cortese, a Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Presidente Napolitano. Ma dopo il danno la beffa, perché la procura reggina, dopo aver sostenuto che Cisterna avrebbe calunniosamente evidenziato dei falsi commessi da Silipo, osserva come si trattasse di errori in “buona fede”.