Un patto tra la politica e la potente cosca degli Araniti per alterare i risultati delle elezioni le regionali e comunali di Reggio Calabria del 2020 (che portarono all’elezione di Giuseppe Falcomatà) e quelle del 2021, anno in cui sono state ripetute le consultazioni regionali dopo la morte prematura della presidente Jole Santelli. Quello scoperto dalla Dda di Reggio Calabria che ieri ha portato all’esecuzione di 14 misure cautelari.
Le accuse, a vario titolo, vanno dall’associazione di tipo mafioso, all’estorsione aggravata dal metodo mafioso, ai reati elettorali, fino alla corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.
Indagati Falcomatà e Giuseppe Neri, capogruppo di Fratelli d’Italia al Consiglio regionale
Tra gli indagati dell’operazione “Ducale” figurano il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, del Partito Democratico, ed il capogruppo di Fratelli d’Italia al Consiglio regionale, Giuseppe Neri, nonché il consigliere comunale di Reggio, Francesco Sera, del Pd. L’ipotesi di reato a carico di Falcomatà, Neri e Sera è pesantissimo: scambio elettorale politico-mafioso. Per Neri e Sera, la Dda reggina aveva chiesto l’arresto, ma il Gip non ha accolto la richiesta. Nessuna richiesta, invece, era stata fatta per Falcomatà, poiché la procura non ha ritenuto “compiutamente integrati tutti i presupposti legittimanti la misura cautelare”.
Le cosche si impossessavano delle tessere elettorali
Fulcro dell’inchiesta è uno degli arrestati, Daniel Barillà, genero di Domenico Araniti, indicato come esponente apicale dell’omonima cosca, lo “specialista” nelle alterazioni dei voti. Secondo le indagini, Barillà, durante le due tornate elettorali, si sarebbe procurato le schede di cittadini impossibilitati a recarsi ai seggi e, grazie alla complicità di alcuni scrutatori compiacenti, avrebbe fatto esprimere il voto per Giuseppe Neri e Giuseppe Sera. Un “favore” che, secondo la Dda, avrebbe consentito a Barillà di ottenere da Neri e Sera nomine in enti pubblici come professionista esterno.
La cosa degli Araniti, capa indiscussa di Sambatello
Le indagini, condotte dal ROS dei Carabinieri, si sono concentrate sulla cosca “Araniti”, egemone nel territorio di Sambatello, ed hanno consentito di delinearne gli assetti, le attività estorsive in danno di appalti pubblici, l’ingerenza nella conduzione della discarica di “Sambatello” attraverso l’imposizione, alle ditte di volta in volta impegnate nella gestione dell’impianto, del personale da assumere e le relazioni con le omologhe consorterie criminali attive nei territori confinanti di Diminniti e Calanna. “È stato inoltre documentato”, scrivono i pm, “lo stringente controllo esercitato sul territorio che ha portato finanche alla limitazione dell’attività venatoria nell’area agreste della frazione”.
Voti in cambio di incarichi pubblici
Secondo i pm, Sera, candidato nel 2020 nel raggruppamento di liste in appoggio all’elezione a sindaco di Falcomatà, “aveva accettato la promessa di procurare voti in suo favore da parte di soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta e, più precisamente, alla cosca Araniti”, autorizzati dal capocosca Domenico Araniti, 72 anni, detto “il Duca”.
Secondo gli inquirenti, Sera si era accordato con Domenico Araniti recandosi presso la sua abitazione il 6 settembre 2020, nonché’ con Daniel Barillà, “rappresentante politico e intermediario per conto della cosca Araniti, su mandato e con la supervisione del capocosca e con l’ausilio di Paolo Pietro Catalano (indagato), hanno attuato la promessa di raccolta voti in cambio dell’erogazione e della promessa di varie utilità, tra le quali, la promessa di inserire Antonino Araniti, figlio di Domenico, nella struttura politica comunale del Partito democratico, con il contestuale impegno a spostarlo dall’Ufficio comunale Settore Patrimonio ed Erp cui apparteneva, cercando di evitargli le sanzioni disciplinari derivanti dalla sua condotta negligente nello svolgimento dei compiti connessi al suo rapporto lavorativo (sanzione tuttavia comminatagli, con licenziamento disciplinare)”.
Inoltre, la proposta di nominare il Barillà amministratore/liquidatore della Leonia spa (società esternalizzata sciolta per infiltrazione mafiosa ndr) poi non realizzata, poiché l’incarico risultava incompatibile con la nomina di Barillà a componente dell’organo interno di valutazione del Comune di Reggio Calabria, avvenuta con decreto 40 del 21 dicembre 2020.
Per il Gip Falcomatà forse non sapeva
Circa Falcomatà, il gip non ha accolto la richiesta d’arresto da parte della Procura perché ci sarebbero dei dubbi sul fatto che l’allora candidato e attuale sindaco del Pd fosse consapevole delle “ragioni mafiose” che avrebbero mosso la raccolta dei voti da parte di Barillà.
“È ben vero che si registra una sospetta inversione nel rapporto Falcomatà-Barillà tra il primo e il secondo turno elettorale, allorquando il candidato sindaco intensificava le relazioni con il grande elettore e non aveva più remore ad affiancarselo direttamente nella campagna elettorale, a cagione della necessità di accumulare il consenso decisivo al ballottaggio- è il ragionamento del magistrato -. Tuttavia, questo dato conferma, indiziariamente, la sussistenza del sinallagma posto a base del patto elettorale, ma è ancora insufficiente per dedurre, con la gravità indiziaria richiesta per l’applicazione di una misura cautelare, la consapevolezza in capo al Falcomatà delle ragioni mafiose, poste a base della capacità di raccolta del consenso sul territorio da parte del Barillà”.
“Come sempre fatto chiarirò nelle sedi opportune, continuerò ad operare con serenità nell’interesse della città”, ha dichiarato Falcomatà, “È una vicenda che, come sempre è accaduto in tutte le situazioni giudiziarie che ho dovuto affrontare in questi anni, chiarirò nelle sedi opportune, pienamente rispettoso dell’attività della magistratura, per la quale nutro piena fiducia”.