“Invasione limitata in Libano”, ha scritto il Corriere della sera spiegandoci che “il governo di Israele ha votato sì alle incursioni”. Gli oltre 11 mila bambini uccisi a Gaza e le oltre 6 mila donne vittime delle bombe e dei proiettili israeliani avrebbero da ridire sull’uso della parola incursione, probabilmente, se potessero ancora parlare.
Anche Repubblica ha titolato con “incursioni in Libano” con un sottotitolo notevole: “Washington: le operazioni saranno limitate. Biden chiede una tregua”. Il lettore potrà comprendere che gli Usa hanno chiesto una tregua con la mano destra e hanno assicurato che la guerra sarà “limitata” con la sinistra. Quindi Biden dovrebbe chiedere una tregua a se stesso, sostanzialmente.
Il Maessaggero titola “Israele entra in Libano”, immaginando un distinto signore che ha suonato al campanello del Libano chiedendo di poter salire un secondo per lasciare sul tavolo un paio di cose. Erano bombe. Nell’occhiello si legge che i militari italiani sono “in allarme”: si vede che non leggono i giornali italiani.
Il Giornale, quotidiano che in questi anni ci ha abituato a prime pagine fragorose e spesso iperboliche, ieri deve avere ingerito una dose di bromuro: “Blitz degli israeliani in Libano”. Sembra la cronaca di un abigeato.
Un bel pezzo della stampa italiana è campionessa di war washing, professionista dell’imbellettamento della guerra come legittima difesa o esportazione di democrazia o difesa dei valori occidentali o democratica incursione o chirurgica operazione o azione contro il terrorismo o riequilibrio internazionale o invasione obbligata o difesa dei confini. L’importante è non chiamarla guerra e riuscire ad avere lo stomaco per non vedere le vittime.