La rabbia oggi è tanta. In un post sulla sua pagina Facebook il deputato Pd Marco Miccoli ieri sintetizzava così lo stato d’animo degli ex dirigenti del suo partito spazzati via dall’inchiesta Mafia Capitale e dalla rimborsopoli di Ignazio Marino.
Inchieste che hanno avuto naturalmente un effetto politico. “L’incapace Raggi sta lì per tutto questo”, dice Miccoli e non è facile rispondere che abbia torto. Di sicuro il difficile equilibrio tra politica e magistratura è messo ancora una volta a dura prova, questa volta soprattutto per la scelta della Procura di Roma di usare nettamente due pesi e due misure rispetto agli uomini politici coinvolti nell’inchiesta su Salvatore Buzzi e il sistema di potere delle sue Coop nel Lazio. Per l’ex sindaco Gianni Alemanno e una serie di altri personaggi furono subito fatti i nomi, riempiendo i giornali di dettagli in grandissima parte frutto di dichiarazioni senza riscontro di avversari di partito, come nel caso dei soldi portati dal primo cittadino di An in Argentina spiattellati da Luca Odevaine, collaboratore per una vita di Walter Veltroni. Poi si accertò non solo che Alemanno in Argentina non aveva portato un euro, ma era invece Odevaine che spediva in Venezuela i soldi frutto di favori illeciti sugli immigrati.
Invece per il presidente della Regione Nicola Zingaretti e pochi altri fortunati non fu mai resa nota l’iscrizione nel registro degli indagati per sospetto concorso in corruzione. Il Governatore – a quanto lui stesso ha dichiarato – non ha ricevuto l’avviso di garanzia e quindi la sua indagine non è mai diventata pubblica fino alla richiesta di archiviazione, formulata dalla pubblica accusa per 116 persone. Di fatto la stessa Procura ha smontato l’inchiesta Mafia Capitale, che senza la parolina mafia si è persa per strada gran parte dell’appeal mediatico che ne ha fatto per mesi un caso giudiziario da prima pagina.
LA GOGNA – Per Zingaretti, la scelta di non far circolare il suo coinvolgimento nella stessa vicenda ha significato sottrarlo a quella stessa gogna nella quale erano stati precipitati Alemanno e tutti gli altri finiti nel tritacarne della stampa. “Ringrazio la Procura per la serietà con cui ha svolto i dovuti accertamenti”, ha commentato a caldo Zingaretti, mentre Alemanno protestava per non aver ricevuto dai magistrati la stessa cortesia. Nell’editoriale di ieri sul Fatto Quotidiano, titolato “Il segreto di Zingarella”, Marco Travaglio si è chiesto se ci sia stata disparità di trattamento anche rispetto all’indagine sull’assessore capitolino ai rifiuti Paola Muraro, venuta alla luce solo perché l’assessore aveva chiesto l’attestazione di eventuali indagini a suo carico. Situazioni diverse che secondo il direttore del Fatto potrebbero essere pareggiate per iniziativa dei partiti, che dovrebbero obbligare i propri esponenti a esibire il certificato penale. Due pesi e due misure, insomma, che testimoniano di per se come la legge in questo Paese non sia uguale per tutti e la magistratura con le sue scelte, supportate da chissà quali motivi, può influenzare la politica. Come Berlusconi ha sostenuto per venti anni.