Il giorno dopo, come previsto, risuonano forti le trombe dei fan di Mario Draghi. L’ex presidente della Bce ha scelto la maschera preferita per partecipare da non partecipante alle prossime elezioni europee: quella del convitato di pietra. Nelle ultime ore lascia trapelare di non voler pensare a un ritorno attivo in politica e di non sentirsi coinvolto in questioni elettorali. Anche questo draghiamo l’abbiamo già visto. Il fattore Draghi per funzionare deve essere il risultato di un’invocazione, al limite del salvataggio. E l’invocazione piano piano si sta costruendo.
Il grande regista dell’operazione è Emmanuel Macron che da tempo lavora al piano Draghi. Il rapporto tra l’attuale presidente della Commissione Ue von der Leyen e il presidente francese è in netto deterioramento. Draghi assicurerebbe un gran spolvero a Macron e ai liberali di Renew. C’è però un particolare non trascurabile: i liberal di Renew prevedibilmente non incasseranno gradi risultati dalle urne alle prossime elezioni e Draghi quindi deve apparire come candidato molto più largo. Ecco perché Macron briga e dice privatamente senza esporsi in pubblico. Il piano di Macron prevede il coinvolgimento della Francia, della Spagna, della Germania e dell’Italia con la Polonia come nuova invitata al tavolo degli autodichiarati competenti, la nouvelle vague degli ultimi anni che potrebbe funzionare ancora.
Macron lavora dietro le quinti per portare Draghi a capo della Commissione. I liberal italiani (ovviamente) esultano
In Italia scoppia di felicità Carlo Calenda di Azione. “L’Italia ha una sua auctoritas, come ha dimostrato Mario Draghi. Noi ci ispiriamo al lavoro di Mario Draghi. Ci piacerebbe anzi riteniamo indispensabile un ruolo di Mario Draghi come presidente del Consiglio o della Commissione europea, noi faremo il possibile perché questo accada”, dice durante un incontro con i giornalisti. I renziani fanno uscire un comunicato (con il solito trucco di affidarlo a “fonti”) per fare sapere che il loro capo Renzi “punta su Draghi in Ue”. Anche questo è un déjà vu: il senatore fiorentino è campione del mondo nell’intestarsi processi che stanno già accadendo anche senza di lui. Così come l’utilizzo di Draghi come clava contro M5s e Lega che agita l’eurodeputato di Italia Viva Nicola Danti secondo “un eventuale ritorno di Draghi in Europa “ridurrebbe ed anche di molto le loro castronerie”.
Dal Pd Arturo Scotto si augura che l’ex presidente del Consiglio abbia “una funzione in Ue” e che “abbia una funzione nell’Ue e che le scelte fatte non siano soltanto sulla base del risultato elettorale ma anche rispetto al valore degli Stati”. Parole come carezze arrivano anche dal commissario dem Gentiloni e dal sindaco di Roma Gualtieri. Tace la segretaria Schlein, consapevole che l’elettorato che l’ha portata al Nazareno non gradirebbe. Giuseppe Conte plaude il “cambio di rotta” auspicato da Draghi puntualizzando di “essere stato il primo a dirlo da presidente del Consiglio”. Il messaggio è chiaro: per il M5s non è Draghi quello che serve. Dal partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla invece il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando che “chi entra Papa esce cardinale”. Il ministro meloniano Urso invece la spara grossa: “le parole di Draghi sono quelle di Meloni”, dice.
A rovinare i piani ci sono le indiscrezioni del libro di Salvini: ama il potere molto più di quello che sembra
Nell’ennesimo giorno di beatificazione dell’ex presidente della Bce irrompe invece Salvini con alcune anticipazioni del suo nuovo libro. Il leader della Lega e ministro dei Trasporti scrive che Draghi formò il suo governo senza consultare i capi di partito ma soprattutto che Draghi chiese una mano per tentare di salire al Colle prima della rielezione di Mattarella. E questo per il draghismo è il colpo più duro perché se il “tecnico sopra ai partiti” si mostra bramoso di scalare i partiti si sgretola l’allure.