Servant of the people, la serie tv che ha reso celebre in patria Volodymyr Zelensky, sbarca in fretta e furia sulla televisione italiana, spinta dalla rete televisiva La7 che la ripropone nel contesto tragico eppure commercialmente favorevole di una guerra che ha trasformato il presidente ucraino nel globale protagonista del mondo reale nel tempo presente.
Su La7 “Servant of the people”, la serie tv che ha reso celebre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky
Il prodotto televisivo è poca roba e non è un caso che fosse finito negli scatoloni degli acquisti da dimenticare dell’onnivora Netflix: un modesto insegnate di storia, Vasiliy Holoborod, viene ripreso a sua insaputa da uno studente mentre critica la difficile situazione del suo Paese. Quel video diventa virale e il popolo che si specchia nell’indignazione dell’insegnante decide di raccogliere i fondi per candidarlo a Presidente dell’Ucraina.
Con grande sorpresa Vasiliy vince le elezioni e con una modestia quasi naïf racconta le difficoltà del non essere più “un uomo del popolo”, costretto a cambiare appartamento, a posare la bicicletta con cui andava al lavoro. Ma della serie e dell’attore ai telespettatori e ai critici furbi interessa poco, quasi niente.
“Servant of the people” è l’occasione per romanticizzare una guerra che ha bisogno di più fondotinta possibile per non farci pensare ai morti (come quelli che stanno nelle fosse comuni di Bucha) e così normalizzare l’uso della violenza come legittimo metodo di risoluzione di un conflitto, e infine rivendere addirittura come mecenati i produttori di armi e i cantori del Partito Unico Bellicista al fianco dell’empatico presidente.
Nel Paese in cui i professionisti della meritocrazia hanno passato anni a sminuire con borghesissimo paternalismo i personaggi televisivi (e quelli con un passato considerato troppo modesto) arrivati in politica ora Zelensky – che ha vinto la versione ucraina di Ballando con le stelle o che ha prestato la sua voce all’orsetto Paddignton – non è un’ex comico ma diventa il nuovo Charlie Chaplin da impacchettare per dirci che la guerra è bella anche se fa male, anzi è perfino divertenti nei suoi rivoli trasversali, in una rincorsa alla creazione di un capo popolo che sia pronto per diventare un meme, qualcuno che dica tutto senza bisogno di dire niente per la sua forte simbologia.
Eppure basterebbe poco per rendersi conto che la spettacolarizzazione della guerra è una pratica immorale che non serve alle vittime, non serve agli invasi e non serve nemmeno a Zelensky quello vero, quello fuori dal set che si ritrova a dover fare la conta di un popolo martoriato. Mentre la propaganda russa e i complottisti di casa nostra negano la realtà adducendo costruzioni cinematografiche qualcuno gioca a cercare rimandi della guerra in una sceneggiatura stinta di una serie tv.
Funziona? Certo, siamo lo stesso Paese che da giorni si eccita per le chat tra una preside e un alunno. Funziona, sicuro. Ma in un Paese con un rapporto difficile con la realtà aggiungere sapidità spettacolare è la solita via facile. Si potrebbe anche discutere dell’etica dell’operazione ma dicono che non sia il caso. Ora ci tocca ridere.