Dopo cinquant’anni di sanguinario dominio, il blitz dei gruppi islamisti guidati dal movimento jihadista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), culminato domenica con la conquista della capitale della Siria, Damasco, ha decretato la fine improvvisa – e, per certi versi, ben più rapida del previsto – del regime della famiglia Assad. Un epilogo atteso da migliaia di civili siriani che, in queste ore, si sono riversati in strada per festeggiare, con cortei e bandiere, la fuga del dittatore Bashar al-Assad. Per oltre un decennio, Assad ha governato il Paese con il pugno di ferro, scatenando una violenta repressione che ha provocato una devastante guerra civile.
Una marea umana, sventolando la nuova bandiera “rivoluzionaria siriana”, sta abbattendo in tutta la Siria i simboli del regime degli Assad, smantellando statue e ritratti dell’ex presidente – rifugiatosi a Mosca sotto l’ala protettrice di Vladimir Putin – e del padre, Hafez. Scene di giubilo affollano i social network, dove, in poche ore, sono proliferate foto e video di famiglie riunite dopo anni di separazione dovuti al famigerato sistema carcerario del regime. Pianti di gioia e abbracci segnano la ritrovata libertà.
In Siria la rovinosa caduta del regime di Assad
Ma online emergono anche immagini di saccheggi del palazzo presidenziale, ricco di beni e auto di lusso, in un Paese dove il 90% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Ora la Siria deve fare i conti con un regime che ha lasciato dietro di sé solo le macerie di una lunga guerra civile. Durante i quasi 25 anni della presidenza di Bashar al-Assad, sopravvissuta nel 2011 alle “Primavere arabe” grazie al sostegno della Russia, il Paese è andato incontro a un collasso totale.
“Questa è una vittoria per la nazione islamica”, ha dichiarato il leader di Hts, Abu Muhammad al-Jolani, accolto a Damasco come un “salvatore”. Al-Jolani ha parlato di un Paese “liberato” dalla “tirannia di Bashar al-Assad”. La caduta del dittatore è stata confermata anche dal ministero degli Esteri di Mosca, stretto alleato di Assad, che ha dichiarato che l’ex presidente “ha deciso di lasciare la carica e ha lasciato il Paese, ordinando il trasferimento pacifico del potere”. Il Cremlino ha precisato di non aver partecipato ai negoziati, ma la fuga di Assad a Mosca suggerisce il contrario.
Inoltre Hts avrebbe garantito la sicurezza delle basi militari russe a Tartus e Latakia, confermando sospetti di un accordo sottobanco tra le parti.
I saccheggi della folla
Dopo la presa di Damasco, al-Jolani ha imposto un coprifuoco di 13 ore in tutto il Paese e liberato i prigionieri politici. Tuttavia, alcuni di questi, ignorando gli appelli alla calma, hanno dato il via a saccheggi, tra cui quello dell’ambasciata italiana, come riportato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani: “Sono state portate via solo tre automobili; nessuno è stato ferito”.
Devastata invece l’ambasciata iraniana, dove la folla ha strappato un poster del generale Qassem Soleimani e del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, entrambi simboli del sostegno a Assad.
Netanyahu e Erdoğan approfittano del caos e occupano aree strategiche della Siria
La caduta del regime di Assad apre scenari di grande incertezza per il Medio Oriente. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato l’invio di tank in territorio siriano, interrompendo la lunga tregua seguita alla guerra dello Yom Kippur del 1973. Secondo le forze israeliane (Idf), l’operazione mira a evitare che forze ostili si avvicinino al confine israeliano.
Nel frattempo, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan ha colto l’occasione per attaccare le forze curde nel nord della Siria. Feroci combattimenti hanno avuto luogo nella città di confine di Manbij, ormai sotto controllo turco, con un bilancio di almeno 50 morti. Tutte operazioni che fanno pensare che i patimenti dei siriani non siano ancora terminati.