Un partito che assedia un tribunale mentre all’interno si processa il suo leader si era visto l’ultima volta con Silvio Berlusconi. Era il processo Ruby e il codazzo di parlamentari in protesta davanti al Palazzo di Giustizia era capeggiato da Angelino Alfano con i big azzurri al seguito. Undici anni dopo ci hanno pensato i leghisti a riunire deputati e senatori in piazza mentre nel Tribunale di Palermo si svolgeva l’udienza del processo che vede imputato il leader Matteo Salvini per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio.
Undici anni dopo la scena è – se possibile – ancora peggiore. Intorno al nugolo di parlamentari che recitano le parti imparate a memoria c’è poca gente. La vittimizzazione di Salvini è uno show a cui deputati e senatori, come ragazzetti in gita, partecipano indossando magliette stampate per l’occasione, come quelle giovanili trasferte all’estero per festeggiare un addio al celibato. Il copione è sempre lo stesso.
Un partito – di governo – vorrebbe trasformare un processo penale in una persecuzione politica. Così si assiste all’ecolalia della magistratura brutta e cattiva al servizio dei poteri forti e gli stessi frignii di stampo berlusconiano. “Non è un attacco alla magistratura”, ripetono i leghisti. Sarà per questo che la magistrata Giorgia Righi, una dei pubblici ministeri, è finita ieri sotto scorta per le minacce ricevute sui social. I leghisti rivendicano il diritto di manifestare in piazza. Occhio che non arrivi il manganello del Decreto sicurezza.