Possiamo definirlo il papà delle trasmissioni del mattino. Fausto Terenzi, con Radio Milano International, ha inciso in modo indelebile nella storia delle radio italiane, contribuendo a creare personaggi che sono diventati un simbolo della modulazione di frequenza; alcuni di loro con un preciso marchio di fabbrica cucito addosso: il nome del proprio programma.
Le origini del Fausto Terenzi Show. Cosa ricordi?
“Ho cominciato da solo con la folle idea di far ridere le persone al mattino in un contesto in cui le prime radio libere facevano tutt’altro. All’inizio ho preso non professionisti, successivamente ho inserito nel programma anche degli attori veri come Guido Nicheli, il “cumenda” e Giorgio Porcaro. Il trio storico, comunque, è stato quello con Paolo Dini e il compianto Leone Di Lernia che molti all’inizio giudicavano inadatto per il ruolo di spalla comica su una grande radio e che, invece, si è rivelato con tutta la sua incredibile carica di istintiva comicità. Eravamo tre teste diverse, ‘Il dinamico trio’, con l’unico scopo di fare ridere, e ci siamo riusciti. Per tanti anni è stato un enorme successo, ci divertivamo noi prima degli altri. La gente ancora adesso si ricorda i nostri tormentoni, le nostre scenette, belle e mai volgari”.
Quali differenze riscontri tra gli editori radiofonici del passato e quelli dei giorni nostri?
“Ho avuto la fortuna di avere degli editori che mi hanno capito come Angelino Borra e i fratelli Hazan che hanno speso una marea di soldi per lanciarmi a Radio Monte Carlo; c’era una campagna che faceva paura con tanti cartelloni disseminati in tutta Italia su cui campeggiava la scritta “Evaso” Fausto Terenzi l’amico pubblico numero uno. Inizialmente hanno provato a bloccarci, ma hanno capito subito che, lasciandoci liberi, lo show era tutta un’altra cosa. Sta nella perspicacia dell’editore dare spazio, altrimenti è finita, si chiama radio libera per questo motivo. Gli editori di una volta, intelligentemente, lasciavano lavorare. Adesso è il tempo che detta le regole. Ma come si inventa una storia in 15 secondi? Noi facevamo delle commedie radiofoniche, l’artista deve essere lasciato libero! Poi ho lavorato anche a RTL, e a Radio Italia, ma il mio amore assoluto sono Radio Milano International e RMC, dove veramente mi hanno dato la piena possibilità di esprimermi lasciandomi fare quello in cui mi esprimevo al meglio”.
Avevate una scaletta o “andavate a braccio”?
“Al 90% il programma era improvvisato. Successivamente registravamo una minima parte, ma le cose più belle avvenivano in diretta. Con la libertà dataci dai fratelli Hazan abbiamo raggiunto degli obiettivi impensabili; mai nessun veto. Loro guardavano i risultati e, credendo in noi, li hanno ottenuti. Sta nell’intelligenza dell’editore non imporre regole alle persone valide. Ed è questo il male della radio. Gli artisti devono essere lasciati liberi, altrimenti è finita. La gente apprezzava anche le mie scelte musicali, il dj non deve mettere la musica decisa da altri. La radio deve essere gestita da chi la conosce e non da chi fa televisione. Sono due cose totalmente diverse. Purtroppo sento sempre più spesso degli stereotipi che puntano più a impostare la voce che a trovare qualcosa di originale da dire”.
Tra le altre esperienze quali ricordi con piacere?
“Ho trasmesso su Radio Music 100, quella che poi, con l’acquisto di Cecchetto, è diventata Radio DeeJay e anche lì c’era un grande editore, Enrico Rovelli. Tutte le radio mettevano la disco music e noi invece e mettevamo rock. Eravamo diversi, è la cosa più bella, non puoi essere omologato, devi avere la tua personalità. E Rovelli era un altro grande dell’emittenza italiana che apprezzerò sempre, ha avuto un grande coraggio. Era una radio con grandissimo staff: Federico l’Olandese Volante, Linus, Albertino”.
Qualche aneddoto della tua intensa vita?
“Ho avuto la fortuna di vedere Brigitte Bardot, veniva ogni sera al King’s Club di St. Moritz dove ero il dj e non l’avevo riconosciuta. Mi chiedeva la canzone Never never never di S. Bassey e ogni volta mi mandava una bottiglia di Champagne con la mancia di 100 franchi. L’ultima sera mi ha dato una fotografia con la dedica e a me è venuto un colpo; dopo aver capito chi fosse, volevo sbattermi la testa nel muro. E poi ricordo con affetto la partita per l’addio al calcio di Zenga a San Siro. Io, sfegatato interista, ho potuto giocare accanto a Ronaldo e ho provato a marcare l’altro mio idolo, Rummenigge, che era nella squadra avversaria”.