Siamo in quel momento dell’anno in cui si butta l’occhio sulla fine legislatura in Regione Lombardia e viene spontaneo dirsi che perdere contro un centrodestra ridotto così – e una Lombardia ridotta così – dovrebbe essere praticamente impossibile e invece – è andata così in tutte le ultime legislature – probabilmente accadrà di nuovo.
Dopo i disastri di Fontana in Lombardia non dovrebbe esserci partita. Ma il Pd ce la sta mettendo tutta per perdere di nuovo.
Nonostante la grande campagna di narcotizzazione per fare dimenticare in fretta gli ultimi anni la Regione Lombardia rimane quel covo di pericolosi improvvisatori che in tempo di Covid sono riusciti a farsi ridere dietro dal resto del mondo. Il ricordo del fu assessore Gallera da queste parti è uno spettro che si aggira per i corridoi con il sottofondo di grottesca comicità che ha accompagnato le sue antiche conferenze stampa in compagnia del presidente Attilio Fontana.
Giulio Gallera è stato sacrificato dal centrodestra, con il solito approccio della politica come se fosse tutta marketing e comunicazione, e a rifare il trucco al Pirellone è arrivata Letizia Moratti, assessora e vicepresidente che vanta un onorevole curriculum di sconfitte politiche che sembrano non scalfire comunque la sua credibilità.
Ora Letizia Moratti si candida proprio contro il suo presidente Attilio Fontana e nello scontro tra quelli che dovrebbero essere alleati s’odono tutti i cigolii di un centrodestra “unito” solo nelle intenzioni e nei comunicati stampa. Il presidente leghista è stato accarezzato nei giorni scorsi da Matteo Salvini e il suo tutore Giancarlo Giorgetti, consapevoli che farsi scippare la candidatura del presidente in Lombardia (per di più di un presidente uscente) sarebbe l’ennesimo smacco di una Lega in declino. Il segretario regionale della Lega Fabrizio Cecchetti conferma che “Fontana è il candidato naturale” dimenticandosi di specificare “per chi” e aggiunge che il presidente “ha svolto un ottimo lavoro”.
Tanto per dimostrare lo sprezzo del ridicolo. Da parte sua Letizia Moratti, come se non fosse mai stata una fallimentare ministra all’Istruzione e una sindaca sconfitta di Milano, punta su una qualità politica che in Lombardia conta parecchio: i soldi. Moratti del resto gode anche della stima di Carlo Calenda (che l’ha definita “un’ottima candidata”, con il suo abituale strabismo politico) e, si dice, dei renziani di Italia Viva e perfino del nuovo gruppo di Luigi Di Maio.
Che una vicepresidente si candidi contro il suo presidente facendo parte, almeno sulla carta, della stessa coalizione è già una scena da tipica commedia italiana. Se a questo aggiungete che Fratelli d’Italia precisa di essere il partito con più voti e di non essere mai stato coinvolto nella discussione il tutto diventa una tragicommedia.
Fontana ha definito la candidatura di Moratti “strana” (con il suo solito ampio vocabolario) ma intanto anche dalle parti del Pd sembrano decisi a boicottarsi da soli. Al di là dei soliti tavoli tematici appena lanciati (in cui si propone di mantenere lo stesso modello che fu di Formigoni semplicemente mettendo sé stessi come dirigenti) i nomi di Cottarelli, Tabacci, Del Bono e Tinagli non scaldano nessuno.
In più continua a mancare il perimetro dell’alleanza (il M5S che fa?) ma soprattutto il punto politico: come hanno intenzione di sfaldare la melassa privatistica che tiene in piedi la Regione? Anzi, la domanda terrificante è un’altra: hanno davvero intenzione di rovesciare il modello? Ne hanno il coraggio?