Un viaggio infinito, fatto di avventure, riflessioni, smisurati ritorni, come scrive lo stesso autore. Condito da analisi che toccano l’ambito politico, giudiziario, economico. Filosofico, anche. Perché al centro resta l’essenza della realtà, l’uomo. In tutte le sue più acute sfaccettature, forse anche le più paradossali e controverse. Questo, in sintesi (decisamente difficile, se non impossibile, racchiudere tutto in poche righe), il viaggio che offre Domenico Monteleone, nel suo libro Scaglie di cioccolata fondente, edito da Il seme bianco, in collaborazione con la Montevecchi Editore.
Un libro inaspettato, se vogliamo. Ma solo per chi si ferma all’apparenza. “Un avvocato che si cimenta in un’opera letteraria, ma come?”, qualcuno potrebbe domandarsi. Premessa, si potrebbe ancora pensare, per uno di quei “mattoni” impossibili da non risultare indigesti, in un mare di codicilli ed elucubrazioni logiche, proprie di chi si misura costantemente con leggi, codici e scartoffie infinite. Ecco, il libro di Monteleone non è nulla di questo. Impossibile, nello scorrere le pagine del libro, non ridere, non interrompersi nella lettura per rileggere passi quanto mai esilaranti (e spesso veri). Così come, però e soprattutto, è impossibile non fermarsi ripetutamente lì, al punto, oppure ancora lì, a fine capitolo, perché si è colti dal dubbio che qualcosa sia sfuggito, che al di là del racconto, spesso divertente come detto, ci sia altro, ci sia il vero leit-motiv del libro: un’analisi quasi ontologica di ciò che l’uomo è specie oggi, stretto da una vita che spesso è insoddisfazione e un’oppressione esercitata da pochi.
Monteleone cerca di sviscerare, anche tramite esempi quasi scanzonati (da incorniciare il passo in qui si parla della “grandissima prostituzione intellettuale”, analizzata a partire dall’esempio calcistico di Carlos Bacca, il giocatore del Milan), la verità “più vera” dell’uomo di oggi. Spesso offuscato da rappresentazioni fallaci, da preoccupazioni che avvertiamo come prioritarie ma che tali non sono. Con estrema lucidità, Monteleone sveste i panni di avvocato e indossa quelli di scrittore, uno scrittore-filosofo che, con sagace maestria, mette a nudo l’uomo che crede e forse spera di vivere al centro di un mondo che sente suo, mostrando come, suo malgrado, non è che una comparsa e non un protagonista. In questo senso il libro di Monteleone è disarmante, è spiazzante, non è probabilmente adatto per chi non vuole essere scosso, per chi ama viver nell’indifferenza e nell’ignoranza di un mondo di cui siamo, al tempo stesso, vittime e carnefici. Non è adatto, in definitiva, per coloro che preferiscono adagiarsi sul conformismo, stretti tra lacci e lacciuoli delle false illusioni. Ma per chi vuole stracciare il velo di Maya e capire la realtà al di là di miti e apparenza, il libro di Monteleone è un mirabile viatico.
Ed ecco allora che, con punte comiche mai banali e che alleggeriscono la portata esistenziale dei 28 racconti racchiusi in Scaglie di cioccolata fondente, Monteleone racconta di grandi uomini incontrati sul suo percorso di vita, da Ferdinando Imposimato a Nicola Gratteri (emblematico il racconto della mancata nomina dell’attuale procuratore di Catanzaro), narra di una città immaginaria (ma non così disperatamente lontana), un’utopia che è innanzitutto progetto, Benarivez, di cui condivide il progetto con personaggi del calibro di un altro scrittore, Emiliano Morrone, il “sindaco” della città degli incontri di un altro grande sognatore (prima ancora che letterato), Jorge Luis Borges. E lì “fare politica – come scrive lo stesso Monteleone – non è aspettare il futuro…così…passivamente…è invece, con ogni probabilità, formulare un’ipotesi, predisporre un progetto, avere un sogno o, magari, un’intenzione di volo…in questo senso…in quanto singoli e in quanto comunità”.
Perché nel libro di Monteleone non c’è spazio solo alla riflessione, acuta e lucida, di ciò che l’uomo è, ma dalle pagine dei racconti si erge un progetto di vita nuova, di comunità nuova. Una catarsi che tuttavia, per avverarsi, deve buttarsi alle spalle tutto quanto oggi annienta gli umani spiriti. Ecco perché il libro va letto. Perché ogni buona catarsi, per essere realmente tale, ha bisogno della conoscenza, profonda e approfondita, di ciò che e non dovrebbe essere. Da lì, e solo da lì, parte il progetto di una comunità nuova. Di una Benarivez vera, all’insegna dell’umano e del politico, e non dell’amoralità di una finanza che annienta.