di Yulia Shesternikova
La sofferenza di un popolo, una guerra che nel corso dei mesi è diventata sempre più cruenta.
Un business politico, e a pagarne le conseguenze sono i civili innocenti, senza alcuna colpa se non quella di trovarsi lì. Migliaia di morti e feriti, soprattutto donne e bambini. Da mesi non ci sono più medicine, non c’è acqua corrente, non c’è elettricità, non hanno da mangiare, non hanno da bere.
La situazione peggiora di giorno in giorno, bombardamenti, esplosioni, torture, strage dei civili.
Quando la realtà supera ogni possibile ipotesi catastrofica, si piange senza lacrime. Terrorizzati e disperati fuggono con ogni mezzo verso la Turchia, verso il Libano, verso la pace, ma via, via dalla Siria.
I campi profughi
I campi profughi di Ain el Hilweh a Sidone, Burj Baragneh e Sabra e Chatila a Beirut. Il Libano ospita già mezzo milione di palestinesi in campi rifugiati sparsi in tutta la nazione. Dalla Siria continuano ad arrivare migliaia di persone. La situazione più drammatica è all’ Ain el Hilweh dove ci sono più di 100.000 profughi di cui 22.000 arrivati dalla Siria. Per entrare bisogna passare diversi check point e avere i permessi speciali, perché il campo è circondato dall’esercito libanese in quanto considerato a rischio a causa della difficile situazione tra le diverse fazioni all’interno che combattono fra di loro. Una situazione incandescente. Una realtà quasi impossibile per un essere umano. 80% sono i bambini e gli anziani. La storia più triste è quella di una donna palestinese scappata 5 volte dalla guerra. L’ultima fuga è quella dal campo di Yarmouk in Siria che le ha fatto dimenticare anche la sua l’età.
Un altro incontro con una profuga siriana che vive nella tenda con la figlia. Hanno dovuto abbandonare la loro casa a causa dei pesanti bombardamenti. Non sa più nulla dei suoi famigliari che sono rimasti in Siria. E ancora tante altre famiglie, altre vite spezzate.
Le condizioni igieniche nel campo sono pessime, all’interno delle tende l’area è irrespirabile per l‘elevata temperatura. Non ci sono frigoriferi, nè ventilatori, per cui quel poco cibo che hanno a disposizione non può essere conservato. L’ospedale all’interno del campo non non è più in grado di dare assistenza ai profughi perché non ci sono i fondi per comprare le medicine. “Arrivano pochi aiuti”, racconta il generale di Al Fatah, capo regionale dei campi profughi, Mounir Magdah. “La maggior parte degli aiuti arriva dalla gente locale e da alcune associazioni libanesi. Il Qatar ha mandato solo 27 stufe e 70 coperte, dall’Europa e dai paesi del Brics non abbiamo avuto nessun aiuto”.
Il silenzio del mondo
Abbandonati dalla comunità internazionale, maltrattati dalle autorità libanesi. Vivono lì, generazioni dopo generazioni, con il coraggio di sempre e con la speranza mai sopita di ritornare a casa. Gli sguardi impauriti, la commozione e il dolore dei rifugiati sono nascosti agli occhi di tutti.
È lecito chiedersi come mai il mondo, quello dei potenti soprattutto, finga di non vederli e si dimentichi di loro da troppo tempo. E ancora una volta, l’ennesima, la questione palestinese sta passando in secondo piano questa volta a causa della crisi siriana.
Traumatizzati dagli orrori della guerra, migliaia di siriani continuano a riversarsi in Libano nonostante le difficoltà di sopravvivenza nel piccolo paese mediterraneo, con quattro milioni di abitanti. “Il paese non è pronto ad affrontare una simile crisi”, afferma Ninette Kelley, capo delle operazioni dell’Unhcr in Libano. “Siamo di fronte a una crisi di dimensioni inedite per il Libano. Abbiamo urgente bisogno di un sostegno maggiore da parte della comunità internazionale, non solo per rispondere ai bisogni di profughi, ma anche per garantire la stabilità di quel paese”.