“Impensabile spendere il 2% in Difesa, sul deficit trappolone dell’Ue”: parla l’analista Matteo Villa

Parla l'analista dell'Ispi Villa: "Inverosimile spendere il 2% del Pil in Difesa entro l'estate, contraria anche l'opinione pubblica".

“Impensabile spendere il 2% in Difesa, sul deficit trappolone dell’Ue”: parla l’analista Matteo Villa

Matteo Villa, analista dell’Ispi, quanto costerebbe all’Italia raggiungere prima il 2% e poi il 3% del Pil in spese per la difesa?
“Oggi arrivare al 2% per l’Italia vorrebbe dire mettere almeno altri 11 miliardi di euro e per arrivare al 3% altri 35, sostanzialmente vuol dire raddoppiare la nostra spesa militare perché oggi è circa l’1,5%, ovvero circa 35 miliardi. In un momento in cui si fanno manovre da circa 30 miliardi l’anno e spesso non in debito, in cui l’Ue ci ha chiesto – fino a ieri – di stare attenti alle nostre finanze. Intanto servono 11 miliardi, necessari agli obiettivi per cui la Nato, gli Usa e la Commissione ci spronano, ma arrivare al 2% entro l’estate è del tutto inverosimile”.

Vorrebbe dire fare quasi un’altra manovra entro l’estate?
“Undici miliardi sono tantissimi per noi, perché non è soltanto una questione di quanti ne usi, ma anche di cosa ci fai. Noi sappiamo che siamo in ristrettezze e non c’è sostegno dell’opinione pubblica per le spese militari, quindi abbiamo il doppio problema delle finanze pubbliche e dell’opinione pubblica che protesterebbe molto. Questi sono i nostri due vincoli”.

Sul primo qualcosa sembra cambiare in Ue, con l’apertura allo scorporo delle spese militari dal deficit…
“Von der Leyen ha detto di essere pronta a sospendere il Patto di stabilità e crescita, ma è solo un annuncio, per la parte di maggiore spesa per la difesa. Però di fatto questo non ha alcun effetto sulla sostenibilità del debito italiano, perché non è la Commissione a decidere se il debito italiano è sostenibile, sono i mercati. L’Ue potrebbe non metterti in procedura per deficit e basta, von der Leyen ci ha fatto un trappolone, il contrario di quello che ti aspetti, perché non si mettono soldi europei ma si sospendono le regole del Patto per finanziare questa nuova manovra: significa che ci indebitiamo di più, non è debito comune, non c’è nessuna concessione su questo”.

Si tratta di investimenti poco utili all’economia e molto lontani dal concetto di debito buono?
“Sì, però alla fine no, qualsiasi debito tu faccia compromette. Se tu riesci a trovare degli investimenti con un moltiplicatore superiore a uno, una spesa pubblica che fa crescere il Paese più di quanto hai speso, allora il debito pubblico scenderà. Il problema è trovarli questi investimenti, non è chiaro che la spesa in difesa sia un moltiplicatore positivo. È chiaro che questo settore economico cresca, ma non è detto che sia a un ritmo sufficiente. Sicuramente non è il debito buono di cui parla Draghi, come sono gli investimenti in infrastrutture o istruzione”.

In più parte di questi soldi li spenderemmo per acquistare dagli Usa?
“Non è del tutto vero, ma solo in parte. In realtà in tutti i maggiori Paesi europei l’industria della difesa nazionale è preponderante, l’80% e più sono acquisti interni. Ma è anche vero che una parta degli acquisti è verso l’estero, buona parte statunitense. Non è vero che finanzi l’estero, una buona parte della spesa per la difesa è interna. Ma dovendo aumentare la spesa così tanto non è detto che le industrie nazionali siano in grado di coprire il fabbisogno subito, quindi è possibile che tu vada a comprare fuori. Il problema è che con quegli 11 miliardi avresti fatto qualcos’altro. Siamo rimasti in 7 in Europa che non spendono il 2%, con Paesi come Spagna, Portogallo e Belgio”.

Gli acquisti comuni europei possono essere una soluzione, si può risparmiare qualcosa?
“Sì. Guardiamo alla frammentazione su tutto, dai sistemi d’armi alle tecnologie: è incredibile rispetto agli Stati Uniti. Noi spendiamo tanto, oggi l’Europa spende il triplo rispetto alla Russia, in termini reali. Noi negli ultimi due anni abbiamo avuto una spinta, arrivata soprattutto dalla Polonia e dai paesi vicini alla Russia, ma anche dalla Germania. L’Italia è rimasta indietro, le spese sono aumentate di pochissimo. Però non è vero che l’Europa è tre volte più volte più forte della Russia, per la sua frammentarietà. Le spese non sono efficaci tanto quanto quelle dell’esercito russo”.

Quindi le spese comuni non rischiano di essere un problema senza un esercito comune?
“È sempre la questione di cosa viene prima tra l’uovo e la gallina. Gli acquisti comuni ti obbligano a decidere: quale di questi sistemi scelgo come Europa? Ti obbliga a decidere chi vince e chi perde in Europa, è il primo passaggio. Quindi le spese comuni europee sarebbero il primo passo, ma se la spesa è piccola non serve a nulla, se sono 5 jet e 20 carri armati hai dei piccoli token che non servono a nulla”.

Tornando all’Italia, può davvero permettersi di raggiungere il 3% del Pil in spese militari? Quanto è alto il rischio di un calo di altri investimenti fondamentali come quelli su sanità e istruzione?
“Si parla comunque del 3%, di raddoppiare dall’1,5%. Cioè circa il 3% della spesa pubblica (che è circa la metà del Pil), è una cifra grande, sì, ma non enorme. Dovresti spostare il 3% della spesa. In questo momento hai, su 100, 97 euro per altro e 3 per la difesa. Dovrebbero diventare 6 in difesa e 94 per altro. Bisogna trovare quel 3% che sposti da una parte all’altra, ma è chiaro che l’opinione pubblica non è pronta. E all’interno della maggioranza siamo pronti? Io credo che neanche sugli 11 miliardi sia facile trovare consenso politico. Anche perché diventa facile per le opposizioni – anche quelle come il Pd da sempre a sostegno dell’Ucraina e che sempre hanno detto che spendiamo troppo poco in difesa – strumentalizzare il discorso delle spese militari. Diventa una patata molto bollente. L’Italia ne parla tanto, ma poi giocherà a procrastinare, ma se questo aumento delle spese in difesa viene a cadere l’Italia è contenta”.