La nuova proprietà dell’Ilva, dopo i Riva, non c’è ancora, nulla si sa di quanto intenderà produrre e con quanto personale, ma intanto a pagare il prezzo più alto della crisi sono i lavoratori. Infatti, con i contratti di solidarietà in scadenza, e non rinnovabili se non in caso di una deroga, da marzo scatterà la cassa integrazione per 5 mila dipendenti dello stabilimento di Taranto. La notizia è stata ufficializzata ai sindacati di Fim, Fiom, Uilm e Usb dal gruppo siderurgico, guidato ancora dai commissari straordinari Enrico Laghi, Corrado Carrubba e Piero Gnudi in attesa della cessione entro il prossimo ottobre a una delle due cordate che hanno presentato offerte per acquisirlo. Ma i sindacati hanno rispeditola proposta al mittente, definendola inaccettabile perché rischia di aprire fronti incerti rispetto alle tutele occupazionali in una fase delicatissima con alle porte la cessione degli asset produttivi, oltre a produrre ripercussioni pesanti sul reddito dei lavoratori già fortemente penalizzati. In pratica la preoccupazione dei rappresentanti dei lavoratori è che si tratti di un assist che consegni ai futuri acquirenti la possibilità di avere elementi per eventuali dichiarazioni di esuberi strutturali nonché ulteriori danni economici per i lavoratori. Ora i sindacati chiedono che il tavolo di discussione sia trasferito al ministero competente per trovare una soluzione che tuteli l’occupazione e il reddito dei dipendenti che perdono, in media, dai 130 ai 150 euro al mese. Nel documento consegnato alle organizzazioni sindacali, l’Ilva ha fatto presente che è necessario fermare tutti gli impianti con inevitabile riduzione del fabbisogno di risorse umane.
Ilva, a Taranto vanno a casa 5mila dipendenti. Il gruppo ha annunciato che farà ricorso alla cassa integrazione
Il gruppo Ilva ha annunciato che farà ricorso alla cassa integrazione