Stefano Bonaccini, presidente ed europarlamentare del Pd. L’Emilia-Romagna andrà al voto il 17 e il 18 Novembre. La Regione che lei ha guidato dal 2014 sino al luglio scorso può essere il cantiere da cui ripartire per la costruzione di una coalizione progressista anche su scala nazionale?
“Cinque anni fa, quando mi ricandidai alla guida dell’Emilia-Romagna la destra, guidata in quel momento dalla Lega di Salvini, era sicura di batterci. Peraltro venivano da nove regioni su nove vinte nei tre anni precedenti. E pochi mesi prima avevano stravinto, con oltre venti punti di distacco, per la prima volta in Umbria. Vinsi invece di quasi dieci punti, ma le coalizioni erano praticamente pari. Il M5s non volle allearsi con il resto del centrosinistra e prese una batosta crollando al 4%. Questa volta, invece, attorno a Michele De Pascale, ottimo 39enne sindaco di Ravenna, potremo schierare un centrosinistra largo e plurale, perché la coalizione comprende tutte le forze di opposizione al governo Meloni, compresi i Cinque Stelle, oltre anche a tante esperienze civiche. Se, come credo, avremo successo potrebbe effettivamente essere il prologo di una nuova centrosinistra a livello nazionale”.
Non sarà complicato tenere insieme forze politiche con obiettivi programmatici lontani? Penso in particolar modo agli esteri e al riarmo dell’Ucraina. La presenza di Renzi rafforza o indebolisce la tenuta del “campo largo”?
“Lo sforzo che dovremo fare non sarà quello di costruire solo una coalizione “contro”, ma “alternativa” alla destra. Che significa condividere un programma e una proposta per il Paese. Ed è sui temi, non sui nomi e cognomi, tantomeno quello dei leader, che dovremo trovare sintesi e condivisione. Intanto è molto importante che da qualche tempo i partiti e i movimenti che si oppongono al governo Meloni abbiano deciso battaglie comuni su specifici temi, però molto importanti, perché radicalmente alternativi alle destre: difesa di sanità e scuola pubbliche; necessità di un salario minimo legale, per togliere dallo sfruttamento milioni di lavoratori, spesso ragazze e ragazzi; Ius scholae per dare diritti a milioni di bimbi e ragazzi che oggi non ne hanno, nonostante siano nati qui e vadano a scuola con i nostri figli e nipoti; no all’Autonomia differenziata di Calderoli che aumenterà le divisioni del Paese. Non è tutto, ma è già qualcosa di significativo e la dimostrazione che si può costruire un programma comune. E, in ogni caso, la matematica prima della politica è semplice da capire: se chi si dice alternativo a queste destre si dividerà anche alle prossime elezioni politiche presentandosi separato, come nel 2022, consentirà a Meloni di vincere senza nemmeno faticare”.
L’alluvione che ha devastato l’Emilia-Romagna nel maggio 2023 non vede ancora una adeguata risposta istituzionale alle richieste di ristori da parte di famiglie e imprese. Ricordiamo tutti le immagini di lei che siede accanto alla presidente Meloni e alla presidente von der Leyen. Una mossa di mera comunicazione politica? Il governo ha dato seguito alle sue promesse?
“Nelle settimane successive all’alluvione presidente del Consiglio e tanti ministri vennero in visita alle popolazioni e ai territori colpiti da una alluvione mai registrata in precedenza nel nostro Paese, per quantità d’acqua caduta in così poco tempo, un evento entrato nelle prime tre calamità al mondo lo scorso anno per quantità di danni, ben 9 miliardi di euro. Oltre alle 17 vittime, unica tragedia irrimediabile perché alle loro famiglie e comunità non li restituirà più nessuno. A cittadini, famiglie e imprese che subirono i danni della drammatica alluvione non sta arrivando ciò che era stato promesso dal Governo, cioè il 100% di rimborso dai danni, come invece accaduto per il terremoto che ci colpì dodici anni fa, che provocò oltre dodici miliardi di euro di danni e vede oggi praticamente tutto ricostruito. La Romagna si è già rialzata da sola, perché da queste parti siamo abituati così, anche di fronte alle tragedie: ci si lamenta poco e ci si rimbocca le maniche. Li vedemmo piangere e disperare in quelle drammatiche ore, ma dal giorno dopo infilarono gli stivali e col badile in mano spalavano il fango, cantando Romagna Mia. Ma le promesse fatte a chi ha perso tutto devono essere mantenute. Così come hanno fatto invece Ursula von der Leyen e il commissario Gentiloni che, in occasioni differenti, vennero a incontrare e visitare le comunità ferite promettendo l’impegno di attivare il fondo di solidarietà europeo. E proprio in questi giorni, l’Unione europea ha deciso di destinare quasi 400 milioni di euro ai territori colpiti. Faccio dunque un nuovo appello al Governo per tenere fede agli impegni presi, ad oggi non mantenuti”.
Il ministro Lollobrigida ha chiesto una verifica sul funzionamento del fondo Agricat non spiegando la numerosità di dinieghi a fronte degli indennizzi richiesti. Un buon segnale seppur tardivo? Quanto è utile questo strumento nelle politiche agricole a fronte dei cambiamenti climatici?
“Da tempo, assieme alle associazioni agricole, assieme all’assessore regionale Alessio Mammi, sosteniamo che il sistema Agricat non funziona come dovrebbe, quindi mi auguro che il ministro intervenga rapidamente”.
L’Autonomia differenziata è una buona risposta alle diseguaglianze sociali in nome di un maggior efficientismo e razionalizzazione delle risorse, o corre il rischio di inasprire il divario sociale tra le persone?
“La proposta dell’Emilia-Romagna era molto diversa da quella richiesta da Lombardia e Veneto: poche materie, nessun residuo fiscale, non toccare sanità e scuola e definire in anticipo i livelli essenziali di prestazione. Il nostro impianto si basava sulla riduzione della burocrazia e sulla certezza sulla programmabilità di investimenti e spesa. Questa della destra e di Calderoli è una autonomia invece iniqua, divisiva e sbagliata: aumenterà le disuguaglianze tra il Nord e il Sud. Stanno aprendosi dissensi anche in parti del centrodestra, penso al presidente della Calabria Roberto Occhiuto e anche ad altri amministratori di Forza Italia. E ci si domandi perché nessun presidente di centrodestra che guidi Regioni del Centro e del Sud stia chiedendo di accedere all’Autonomia di Calderoli”.
Proprio la battaglia per la difesa del diritto a una sanità più giusta e inclusiva, come previsto dalla Costituzione, pare unire le opposizioni. Quali le condizioni attuali del Sistema sanitario nazionale?
“I numeri non sono né di destra né di sinistra e dicono che nel 2020 il rapporto tra sanità pubblica e Pil era al 7,4%, mentre con il governo Meloni è crollato al 6,3% lo scorso anno e scenderà intorno al 6% il prossimo anno ed è il dato peggiore tra i 27 paesi europei. Questo è l’unico rapporto a cui guardare. Quando Meloni dice che ha portato il Fondo Sanitario Nazionale alla cifra più alta mai vista prima, dimentica che i governi precedenti lo hanno di volta in volta incrementato (Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte Il e Draghi). Il vero problema è che hanno un modello di sanità che anziché puntare sul pubblico tende a favorire il privato. Il diritto alla salute non può essere affidato al proprio conto corrente privato, o all’assicurazione privata”.