Qualcuno in banca lo sta pensando da qualche giorno: ci mancava solo il tentato golpe turco e la reazione di Erdogan con migliaia di arresti. Il fatto è che la Turchia adesso è finita in un caos dallo sbocco come minimo incerto. E chi ha qualche situazione economica da “smaltire” sta sudando freddo. Tra coloro in preda alle fibrillazioni, per dire, c’è Unicredit, la banca italiana a capo della quale si è recentemente insediato Jean Pierre Moustier. Si dà infatti il caso che in Turchia Unicredit sia una potenza del credito e controlli una banca che si chiama Yapi Kredi, in sostanza il quarto gruppo creditizio privato nel Paese. Il motivo delle preoccupazioni dell’istituto italiano è semplice. Il nuovo amministratore delegato, infatti, è un convinto sostenitore delle dismissioni. E a quanto filtra la banca turca dovrebbe presto finire in una nuova tranche di cessioni.
IL NODO – Il problema è che con una Turchia in queste condizioni l’operazione potrebbe non essere così semplice. Che Moustier voglia liberarsi di diversi asset è dimostrato dalle sue prime mosse da amministratore delegato. Prima la cessione del 10% di Fineco, con un incasso di 328 milioni di euro, poi la cessione del 10% della polacca Bank Pekao, con un introito di 750 milioni. Due mosse che nei giorni scorsi sono state particolarmente apprezzate dagli analisti e hanno contribuito a sostenere il titolo in Borsa (che anche ieri ha chiuso in territorio positivo facendo segnare un +2,13%). Che fare adesso con la turca Yapi? Difficile fare previsioni. Di sicuro sono mesi che l’istituto è al centro di indiscrezioni su una sua possibile cessione, spia di come all’interno di Unicredit ci si stia ampiamente pensando. Ma il terremoto scatenato dal tentato golpe potrebbe far rivedere i piani, o almeno rinviarne l’esecuzione. Yapi, per inciso, è una banca che secondo dati aggiornati al 2015 gestisce un attivo di 76,2 miliardi di euro. Ed è un istituto coinvolto in numerose attività: carte di credito, gestione del risparmio, leasing, factoring, soluzioni pensionistiche, assicurazioni. In più vanta una rete di sussidiarie con paesi come Olanda, Russia, Azerbaijan e Malta. Uan potenza, insomma, con cui il Governo di Ankara – chiunque comandi – deve fare i conti.
ALTRI FRONTI – Interessi indiretti in Turchia riguardano anche il gasdotto Tap (Trans Asriatic Pipeline), il progetto di infrastruttura che dovrebbe portare in Puglia il gas dell’Azerbaijan. L’opera, di cui sono state assegnate diverse commesse, interesse molto all’italiana Snam, che è entrata recentemente nel consorzio con il 20%. Il fatto è che per portare il gas in Italia (e da qui all’Europa), il Tap dovrà riconnettersi a un altro gasdotto, il Tanap, che di fatto viaggia sul territorio turco. E con un paese nel caos, sebbene le opere siano in corso di completamento, nessuno sembra in grado di dormire sonni tranquilli. Insomma, rispercussioni turche su interessi italiani non sono escluse, perché questo momento di incertezza a lungo andare potrebbe essere parecchio logorante.
Tw: @SSansonetti