Dopo il decreto Sicurezza bis, l’ultima minaccia di Matteo Salvini corre sul treno (ad alta voracità) Torino-Lione. Un No al Tav “sarebbe una sfiducia al premier che ha riconosciuto che costa meno finirla che fermarla”, ha avvertito il ministro dell’Interno. In realtà, Conte si è rimesso al voto del Parlamento, ma fa niente. E poco importa che il contratto di Governo impegni la maggioranza “a ridiscuterne integralmente il progetto”.
Per il leader della Lega non conta: l’opera va fatta a prescindere, punto e basta. Così, evocando la crisi, ha lanciato l’ennesimo ultimatum: “Ci sarebbe un grosso problema”, ha messo in chiaro, tanto per tenere alta la tensione subito prima della fiducia incassata ieri, senza grossi patemi, dal Governo al Senato. Dove è fissata pure la prossima stazione della Via Crucis quotidiana cui il Capitano, tra un mojito e l’altro, ci ha abituati dalla sarabanda del Papeete Beach di Milano Marittima.
Riferimento alle mozioni all’esame di Palazzo Madama: quella No-Tav (l’unica) dei Cinque Stelle e le altre delle opposizioni. Ora, sulla carta, il voto è senza storia: da soli, Di Maio e i suoi non hanno i numeri per bloccare l’opera. Ma che succederebbe se, per mettere in difficoltà la maggioranza, le opposizioni decidessero di astenersi sulla mozione pentastellata? Sarebbe la Lega a non avere i numeri per bloccarla. Diversamente, sarebbe il Carroccio a dover votare con le opposizioni per disinnescarla. Due belle alternative: incassare la sconfitta o evitarla con un altro inciucio. Modello Radio Radicale.