Qualcuno, forse, ci aveva davvero sperato. E a giusta ragione considerando la battaglia politica condotta dal Movimento cinque stelle che di fatto si era concretizzata nella cosiddetta “delibera Fico” (dal nome dell’ex presidente della Camera, Roberto Fico) che aveva falcidiato i vitalizi degli ex onorevoli a Montecitorio.
Su quella scia, anche se con notevole ritardo, anche il Senato si era adattato. Vittoria? Niente affatto. Perché abbiamo assistito a quattro anni e più di ricorsi, battaglie, sentenze, controsentenze che alla fine hanno portato alla decisione resa nota ieri: al Senato addio al taglio dei vitalizi. Tutto torna come prima. Ciò vuol dire maxi assegni d’oro per chi è stato senatore. La casta è viva e vegeta. E gongola in mezzo a noi.
La decisione
Ma com’è stato possibile? La querelle di Palazzo Madama è lunga e farraginosa. Basti pensare che già la Commissione Contenziosa (primo grado di giudizio di Palazzo Madama) nella scorsa legislatura obbligava l’amministrazione a ripristinare i vitalizi.
Davanti a quella sentenza, però, lo stesso Senato aveva fatto ricorso. Si è giunti così al secondo grado di giudizio – il Consiglio di Garanzia – che in un primo momento aveva addirittura interpellato la Corte Costituzionale, lavandosene le mani. La Consulta, però, aveva ovviamente detto che a pronunciarsi, vigendo l’autodichia due rami del Parlamento, doveva essere solo e soltanto il Senato.
Ed ecco così la decisione – con altri inspiegabili mesi di ritardo – di Palazzo Madama. Il colpo di mano dell’ex senatore Luigi Vitali (Forza Italia), presidente dell’organo, è passato grazie all’astensione della senatrice del Partito democratico, Valeria Valente. Oltre a Vitali, ha votato a favore Ugo Grassi (ex 5 Stelle, oggi Idea Cambiamo!), mentre Alberto Balboni (FdI) e Pasquale Pepe (Lega) hanno votato contro.
La sentenza però è passata per 3 voti a 2, perché il voto di Vitali, in quanto presidente, vale doppio. In un organo composto per quattro quinti da esponenti di centrodestra, decisiva è stata quindi la decisione della senatrice dem di astenersi. Cosa che fa pensare a inevitabili ripercussioni nel rapporto tra Pd e pentastellati considerando come questi ultimi abbiano battagliato per cancellare l’indicibile privilegio.
Ma non è tutto. Perché ora verosimilmente si creerà un caos inaudito considerando che, invece, a Montecitorio la strada intrapresa dal taglio ai vitalizi è stata nettamente diversa. Anche qui – per carità – ci sono stati ricorsi di ogni tipo, battaglie e denunce. Ma alla fine della corsa, grazie soprattutto alla resistenza dell’ex 5 Stelle Andrea Colletti che nella scorsa legislatura è stato presidente del Collegio d’appello (il secondo grado della giustizia interna di Montecitorio), il taglio ai vitalizi è rimasto. Con una sentenza che ribalta definitivamente l’andazzo che si stava prendendo, i tagli voluti dall’allora presidente della Camera resteranno – almeno per adesso – scolpiti nel regolamento di Montecitorio.
Alla faccia dei migliaia di ricorsi che nel corso degli ultimi anni sono piovuti sul Parlamento. Risultato? Per il calcolo degli assegni sarà un grande caos siccome Senato e Camera hanno intrapreso due strade differenti.
Nome per nome
Il provvedimento voluto dal M5s nel 2018 con il ricalcolo in base al sistema contributivo aveva permesso al Senato di risparmiare 22,2 milioni di euro all’anno. Ora invece ecco il regalo confezionato agli oltre mille tra ex senatori e familiari di senatori deceduti, che torneranno a ricevere i loro mega-assegni. Ma di che cifre parliamo? Conviene fare qualche esempio per capire di cosa – e di chi – stiamo parlando. Prendiamo Nicola Latorre, storico parlamentare del Partito democratic, dal 2020 Direttore Generale dell’Agenzia Industrie Difesa.
Nel suo cursus honorum spuntano quattro legislature collezionate da senatore. Secondo le tabelle consultate da La Notizia, Latorre col taglio vigente avrebbe preso poco più di 4mila euro lordi al mese. Non male. Eppure adesso tornerà a prendere oltre 6mila euro. L’ex senatore di Forza Italia Antonio Azzolini, invece, si legislature a Palazzo Madama ne ha collezionate cinque: dai 5.500 euro e rotti che prendeva col taglio, tornerà a prendere oltre 8mila euro. Pure lo storico senatore siciliano Salvatore Crocetta se la passerà piuttosto bene: tornerà a percepire 6.590 euro rispetto ai 2.890 euro rimodulati dalla delibera del taglio ai vitalizi.
E così anche – tanto per fare altri nomi – Maria Rosaria Manieri (prenderà nuovamente 9mila euro e rotti dopo il taglio di circa mille euro), Giuseppe Menardi (dai 4mila euro dopo il taglio ai “vecchi” 6.200 euro), Marisa Moltisanti (qui si raddoppia: da 4mila euro circa si ritorna a oltre 8mila), Concetto Scivoletto (dai circa 5mila post-taglio, ai “vecchi” 8mila e rotti).
Senza dimenticare un altro dettaglio (che dettaglio non è): il verbale della seduta sancisce “la cessazione degli effetti della delibera 6 del 2018 a far data dal 13 ottobre 2022”. Il che vuol dire che agli ex senatori verrà anche restituito quanto gli sarebbe stato tolto ingiustamente in questi mesi. Cornuti e mazziati.
Nessun taglio. A prescindere
Finita qui? Niente affatto. C’è un lato anche drammaticamente grottesco in tutta questa storia. Ci sono ex parlamentari che hanno guardato la querelle del taglio ai vitalizi in maniera assolutamente ininfluente: in questo caso l’assegno d’oro non è stato minimamente toccato. È il caso, tra gli altri, dell’ex senatore ed ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli: il suo vitalizio è rimasto di 9.512 euro lordi mensili. Esattamente come nel caso di Franco Bassanini, il quale addirittura arriva a 10.631 euro.
Stessa identica cifra (e mai scalfita) per Francesco Colucci, Nicola Mancino, Giuseppe Pisanu, Clemente Mastella, tra gli altri. Non hanno subito tagli neanche, Lamberto Dini (6.590 euro).