La Sanità è da terapia intensiva: l’Italia fanalino di coda tra i Paesi del G7

Allarme della Fondazione Gimbe: spesa per la sanità in Italia al 6,2% del Pil, ultima nel G7. Gap di 47 miliardi rispetto alla media europea.

La Sanità è da terapia intensiva: l’Italia fanalino di coda tra i Paesi del G7

Mentre il governo si appresta a discutere la Legge di Bilancio 2025, i numeri sulla spesa sanitaria italiana del 2023 dipingono un quadro allarmante. La Fondazione Gimbe, nel suo recente rapporto, mette nero su bianco dati che non lasciano spazio all’interpretazione: il nostro Servizio Sanitario Nazionale è un paziente in terapia intensiva, che necessita di cure urgenti e sostanziose iniezioni di fondi.

Nel 2023, l’Italia ha investito nella sanità pubblica il 6,2% del suo PIL. Un dato che, di per sé, potrebbe non dire molto, ma che assume contorni preoccupanti quando confrontato con la media OCSE del 6,9% e quella europea del 6,8%. In pratica, stiamo investendo meno della media dei paesi sviluppati in un settore cruciale come la salute pubblica.

Ma i numeri diventano ancora più eloquenti quando si guarda alla spesa pro-capite. Con 3.574 dollari per abitante, l’Italia si posiziona al 16° posto tra i 27 paesi europei dell’area OCSE. Per capire la portata di questo dato, basta guardare al divario con la media europea: 896 dollari in meno per ogni cittadino italiano. Tradotto in euro e moltiplicato per la popolazione italiana, significa un gap di oltre 47,6 miliardi di euro.

Il divario crescente sulla sanità: l’Italia fanalino di coda nel G7

Il confronto con i “big” dell’economia mondiale è ancora più impietoso. Nel G7, l’Italia occupa stabilmente l’ultima posizione per spesa sanitaria pro-capite dal 2008. E se nel 2008 le differenze erano contenute, oggi sono diventate abissali. Mentre l’Italia spende 3.574 dollari pro-capite, la Germania ne investe 7.253, più del doppio.

Anche durante la pandemia, quando tutti i paesi hanno aumentato gli investimenti in sanità, l’Italia è rimasta indietro. Tra il 2019 e il 2023, la spesa sanitaria pro-capite italiana è cresciuta di soli 772 dollari, contro i 1.511 della Germania, i 1.329 del Regno Unito e i 1.280 della Francia.

Questi numeri non sono solo cifre su un foglio di calcolo. Rappresentano liste d’attesa interminabili, pronto soccorso sovraffollati, difficoltà nel trovare un medico di famiglia, disparità regionali inaccettabili, migrazione sanitaria e un aumento della spesa privata che porta le famiglie a rinunciare alle cure o a impoverirsi per ottenerle.

Dall’allarme all’azione: le richieste per salvare il SSN

Non è un caso che la sanità sia diventata una priorità assoluta per i cittadini italiani. Sondaggi e indagini confermano che la popolazione è sempre più gravata da problemi legati all’accesso e alla qualità delle cure. E le istituzioni sembrano finalmente prenderne atto: la Corte dei Conti, la Corte Costituzionale e l’Ufficio Parlamentare di Bilancio hanno più volte sottolineato il sottofinanziamento del SSN.

Cinque regioni e le opposizioni hanno presentato disegni di legge per aumentare il finanziamento pubblico almeno al 7% del Pil. Lo stesso ministro della Salute, Schillaci, ha dichiarato che il 7% del Pil è il livello minimo su cui attestarsi per il finanziamento della sanità pubblica.

Ma le dichiarazioni d’intenti non bastano più. La Fondazione Gimbe chiede al governo un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico per la sanità, accompagnato da coraggiose riforme di sistema. L’obiettivo è chiaro: garantire a tutti la tutela della salute, un diritto costituzionale fondamentale e inalienabile.

Il rischio, in caso contrario, è quello di perdere un Servizio Sanitario Nazionale pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e fondato su principi di universalità, eguaglianza ed equità. Un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti che porterebbe l’Italia a scivolare da un sistema nazionale a 21 sistemi sanitari regionali regolati dalle leggi del libero mercato.

In questo scenario, le prestazioni sanitarie diventerebbero accessibili solo a chi può pagarle di tasca propria o a chi ha sottoscritto costose polizze assicurative. La prossima Legge di Bilancio rappresenta quindi un banco di prova cruciale per il governo. I numeri sono sul tavolo, le criticità sono evidenti.