Se va avanti così ci sarà poco da proteggere. Mauro Lusetti, il presidente di Legacoop che ieri ha promesso di non proteggere nessuno, può stare tranquillo: se va avanti così ci sarà poco da proteggere. Non solo nelle Coop storicamente di Sinistra, ma in tutto il sistema della cooperazione, senza eccezioni per quella bianca e cattolica. I casi del Mose, Sesto San Giovanni, Mafia Capitale, Expo, l’Alta velocità a Firenze e adesso Ischia sono solo la punta di un iceberg. Un sistema che la politica sa benissimo di dover smontare e isolare definitivamente, ma che poi resta sempre li. Il motivo è semplice: le coop sono state per decenni la cinghia di trasmissione tra politica e affari.
LO SCAMBIO
La politica ha garantito vantaggi competitivi alle coop (per farsene un’idea basti leggere Falce e carrello, Marsilio, del re dei supermercati Esselunga, Bernardo Caprotti) e le coop hanno restituito serbatoi elettorali, potere e mezzi economici. Un meccanismo diventato prassi, e che ha finito per trascinare partiti e istituzioni su territori accidentati dal punto di vista etico. Lo spirito sano dell’economia cooperativa è finito per essere stravolto e lo scambio è sceso sul livello più basso. Di quei valori antichi a cui ci si rivolge, soprattutto dopo ogni nuovo scossone giudiziario, ormai è rimasto ben poco e per uscirne a testa alta – se c’è ancora voglia di uscirne con decoro – politica e cooperative dovrebbero avere il coraggio di dire la verità, di rivelare pubblicamente quell’intreccio incestuoso e così fornire al Paese gli anticorpi affinché quel sistema non si rigeneri più. Le nostre coop avranno il coraggio di fare outing? A oggi non abbiamo visto quasi nulla. E dietro generiche affermazioni di correttezza dobbiamo registrare i soliti vizi e i soliti sistemi. Perché – come ha scritto ieri Antonio Polito sul Corriere della Sera – le duemila bottiglie di vino acquistate a Massimo D’Alema non hanno molto da invidiare al rolex regalato al figlio dell’ex ministro Maurizio Lupi. E il filo che unisce Coop rosse e politica si allunga dovunque, arrivando sino a Roma. Così lo steso caso “Cpl Concordia” scoppiato a Ischia rispunta nei fondi per la campagna elettorale del 2013 e nel business degli appalti delle case popolari.
L’AVANZATA NEL LAZIO
Nel 2013 la lista di Nicola Zingaretti, poi diventato presidente della Regione Lazio, avrebbe beneficiato di un contributo della coop di Roberto Casari. Diecimila euro che secondo la stessa lista Zingaretti sarebbero arrivati a insaputa degli attuali consiglieri e gestiti da Maurizio Venafro, il capo di Gabinetto del governatore dimessosi la scorsa settimana. Per quella che al momento appare solo come una coincidenza, sempre nel 2013 un appalto Ater da 78 milioni di euro fu aggiudicato proprio alla generosa cooperativa modenese. Tanto generosa da aver donato sempre nel 2013 altri 6 mila euro direttamente al Partito Democratico Comitato Provvisorio Città di Roma. Cosa c’entrano queste continue erogazioni di denaro sotto forma di contributi, acquisti dei più vari (dal vino ai libri fino all’organizzazione di convegni) con la normale attività delle imprese? Nulla. E le Coop – così come la magistratura – sanno da sempre delle loro vergogna nascoste sotto una foglia di fico. Foglia che adesso è caduta pure questa.