Meno parlamentari ma più personale (e relative spese). Martedì 8 ottobre, con una tempistica da manuale, proprio mentre la Camera dava il via libera definitivo al taglio di deputati e senatori con un risparmio previsto di circa 500 milioni a legislatura, sulla Gazzetta ufficiale è apparso il bando, attesissimo, per 60 nuovi coadiutori a Palazzo Madama.
POSTI D’ORO. Personale di segreteria, in pratica, con la mission di garantire “un efficiente funzionamento degli Uffici”. Si tratta della categoria più diffusa, visto che già in Senato ce ne sono 234 in servizio, contro 170 assistenti, 117 segretari parlamentari, 32 stenografi, 90 consiglieri e un segretario generale (Elisabetta Serafin). Oscuro il trattamento economico, sbrigativamente liquidato nel bando come “stabilito dal decreto del Presidente del Senato della Repubblica n. 12008 del 31 luglio 2013”. Di tale decreto sul sito del Senato non si trova traccia, ma un rapido confronto con gli stipendi della Camera alimenta buone speranze per gli interessati: per dire, lì un collaboratore tecnico entra con circa 31 mila euro lordi l’anno, che già raddoppiano dopo 10 anni, dopo 20 arrivano a 100 mila, superati i 30 volano a 137 mila e con 40 anni di anzianità superano i 150 mila.
ADDIO MERITOCRAZIA. La prospettiva di fare un simile “bingo” ha scatenato il popolo di Internet, grazie anche ai minimi requisiti richiesti dal bando firmato dal presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati (nella foto): un “diploma di scuola media superiore di secondo grado” conseguito con “una votazione non inferiore a 39/60 o a 65/100”. In pratica, per candidarsi basta aver strappato alla maturità l’equivalente di un 6 e mezzo e avere dai 18 ai 45 anni. Mai, nella storia di Palazzo Madama, la selezione culturale era stata di manica così larga. Tanto che il bando si chiuderà alle ore 18 dell’8 novembre, ma già sono migliaia le domande arrivate e si prevede di battere abbondantemente il recente concorso per consiglieri parlamentari alla Camera (65 mila euro lo stipendio di ingresso, 361 mila la retribuzione prevista a fine carriera), dove si sono presentati in ben 15 mila. La Camera chiedeva però, tassativamente, almeno la laurea.
VIVA IL TURN OVER. Da anni in Parlamento non si facevano assunzioni. Solo al Senato, il blocco del turnover nel 2008 ha ridotto del 40% il numero dei dipendenti, passando dai 1.098 del 2006 ai 644 di oggi (la pianta organica ne prevede quasi il doppio, 1.232), contenendo le spese per gli stipendi (circa 99 milioni di euro nel 2018) ma facendo schizzare alle stelle l’esborso pensionistico: ben 148,6 milioni nel 2018, contro i 71,7 per i vitalizi dei senatori.
CONTO SALATO. Risultato? Su un bilancio di previsione per il 2018, l’ultimo approvato, in cui le spese ammontano a 539 milioni di euro, ben il 45 per cento è destinato al personale (in servizio e in quiescenza) di Palazzo Madama. Ancora peggiore la situazione della Camera: nel 2019, con 1.063 dipendenti e un bilancio interno di 959 milioni, ben 490, più della metà, se ne andranno tra stipendi e pensioni del personale.