Il Sahara è diventato un cimitero, ecco l’altra faccia delle frontiere Ue

Il Sahara diventa un cimitero: deportati dalla Libia, 613 migranti affrontano un viaggio disumano tra freddo, sabbia e silenzio europeo

Il Sahara è diventato un cimitero, ecco l’altra faccia delle frontiere Ue

L’ombra lunga del Sahara continua a inghiottire le speranze di chi cerca un futuro migliore, trasformando il deserto in un immenso cimitero a cielo aperto. L’ultimo dramma umanitario si è consumato nei primi giorni di gennaio con una delle più grandi espulsioni di massa mai registrate dalla Libia. Più di 600 persone di nazionalità nigerina sono state deportate dal Paese nordafricano, stipate in un convoglio di camion e costrette ad affrontare un viaggio definito “pericoloso e traumatizzante” verso la città di Dirkou, nel deserto del Niger.

Il viaggio disumano: tra freddo, violenza e desolazione

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha denunciato l’episodio, sottolineando che si tratta della più grande deportazione mai avvenuta, superando quella di 400 persone registrata lo scorso luglio. L’operazione, orchestrata dalle autorità libiche, ha coinvolto lavoratori migranti radunati nell’arco di un mese. Tra temperature glaciali e condizioni disumane, gli esseri umani sono stati caricati come merce su camion, affrontando le insidie di un viaggio nel deserto dove il freddo taglia la pelle e la speranza è un lusso per pochi.

“Quel che è accaduto è qualcosa di nuovo,” ha dichiarato Azizou Chehou, dell’organizzazione Alarm Phone Sahara. Ma ciò che è davvero “nuovo” è la brutalità sistematica con cui i migranti vengono trattati. Racconti di risse per trovare un posto sicuro sui camion, cadute che lasciano segni indelebili sui corpi e sull’anima, e un arrivo ad Agadez che sa di miraggio: distrutti fisicamente e psicologicamente.

Dietro la tragedia c’è una regia più ampia, che vede i paesi dell’Unione europea impegnati in una politica di esternalizzazione delle frontiere. L’Italia, con il suo Piano Mattei, ha stretto accordi con Libia e Tunisia per ridurre i flussi migratori verso l’Europa. L’obiettivo è chiaro: evitare che quelle vite arrivino sulle coste europee.

L’Europa e il prezzo della sicurezza: chi paga davvero?

David Yambio, portavoce dell’organizzazione no-profit Refugees in Libya, ha parlato senza mezzi termini: “Questa è la politica di frontiera dell’Europa messa a nudo. L’UE paga per cancellare i migranti, rendendo invisibile la sofferenza. Leader come Orbán, Giorgia Meloni o Trump applaudono a questa crudeltà sistematica.” Parole che suonano come un atto d’accusa contro una politica che sembra aver scelto di cancellare i diritti umani dalle sue priorità.

La diminuzione degli sbarchi in Italia e nel Mediterraneo centrale – secondo Frontex, un calo del 59% – non racconta tutta la storia. Ogni vita non salvata in mare diventa un numero da aggiungere al bilancio del deserto. Il Sahara, definito da molti “un cimitero di migranti”, non fa distinzioni: uomini, donne e bambini scompaiono tra le sue dune, cancellati dall’indifferenza e dalle politiche restrittive.

In questo quadro, è impossibile non interrogarsi sulle responsabilità dell’Europa. La politica di esternalizzazione non è un fenomeno recente, ma oggi appare come una macchina oliata per trasformare i confini in muri invalicabili. L’Unione europea finanzia governi come quello libico, già al centro di denunce per le sistematiche violazioni dei diritti umani, e chiude gli occhi davanti a una realtà che urla vendetta.

Non è un caso isolato. Ogni deportazione, ogni convoglio di camion che attraversa il deserto, è un pezzo di una strategia più ampia. L’Europa si lava le mani ma il sangue resta. Le vite inghiottite dal Sahara non sono semplici statistiche. Sono storie spezzate, famiglie distrutte, sogni che si infrangono contro le barriere fisiche e politiche erette in nome della sicurezza.

E così, mentre i leader europei si congratulano per i risultati ottenuti, il deserto continua a raccogliere corpi e silenzi. Dirkou non è solo una città, è l’istantanea di un fallimento collettivo. E fino a quando queste politiche continueranno, il Sahara rimarrà un muto testimone di un’epoca che usa il deserto come sacco dell’umido.