Massimo Cotto ogni mattina su Virgin Radio racconta il rock nelle sue molteplici sfaccettature. Senza snobismi, nonostante una competenza fuori dal comune. “Lo snobismo del critico uccide la musica”
Una generazione è cresciuta ascoltandoti a Stereonotte…
“Stereonotte” era lontana da ogni possibile logica discografica, ognuno di noi portava in scena il proprio mondo e cercava di trovare nuove fratellanze. Oggi sarebbe impossibile replicare quel modello, perché le figure del direttore artistico e del responsabile musicale hanno di fatto annullato ogni possibile diversità. La figura romantica del deejay che arrivava con la valigetta piena di vinili e cd è scomparsa per sempre. Oggi vincono le playlist che, come è logico che sia, non ammettono eccezioni alla normalità. Il risultato è che i giovani artisti stentano sempre di più ad affermarsi”.
In quegli gli anni le riviste specializzate musicali erano poche ed estremamente autorevoli…
“Un tempo era tutto più semplice: le riviste specializzate facevano tendenza, individuavano nuovi fermenti e li sottoponevano all’attenzione degli appassionati. Quando il cerchio si allargava e il pubblico aumentava, arrivavano i quotidiani o i settimanali. Da molti anni, purtroppo, le riviste non esercitano più la loro funzione. Molte sono scomparse o hanno una diffusione insignificante, per via del fatto che ci sono sempre meno appassionati di musica, ma anche loro non sono esenti da colpe: troppe volte i giornalisti si sono abbandonati a masturbazioni cerebrali o a recensioni poco obiettive. Insomma, detto che i numeri non sono tutto e che non sempre la qualità fa rima con la quantità dei dischi venduti, però mi rifiuto di credere che dischi spacciati per capolavori vendano tutti trenta copie. Lo snobismo del critico ha contribuito a uccidere la musica. Quando dirigevo Rockstar cercavo di farlo capire, ma era dura”.
Hai intervistato praticamente tutti, anche più volte, e scritto libri su tantissimi artisti…
“Ho avuto molta fortuna e intervistato gli artisti quando potevi passare molto tempo con loro. Spesso, dalla vicinanza nascevano frutti oggi difficili persino da immaginare. Paul McCartney che mi chiede, in attesa che le telecamere siano pronte, se può cantarmi una canzone a cappella; Robert Plant che racconta aneddoti su Jim Morrison; Elton John, Joe Cocker e Eric Clapton che si commuovono parlando della dipendenza dalle droghe. Ma anche Alda Merini che chiude gli occhi e improvvisa una poesia per mio figlio; Leonard Cohen che nella sua casa di Los Angeles mi prepara la colazione; David Bowie che, a Berlino, parla per ore e ore fino a quando arrivano le luci della sera. Senza dimenticare il cinema: Wenders, Bertolucci, Morricone o Mario Monicelli, che una volta mi disse: “Se fai un lavoro che ti piace hai il diritto di dire che sei stanco, ma non di lamentarti perché sei stanco”. O il replicante di Blade Runner, Rutger Hauer, con cui ho trascorso tre giorni indimenticabili. Ogni due ore gli chiedevo di rifarmi il monologo, fino a quando mi ha detto, ridendo: “Se me lo chiedi ancora una volta, è davvero tempo di morire. Ma per te”.
Dagli anni 2000 ti sei dato a una nuova sfida e cominciato a realizzare degli spettacoli teatrali sempre con la musica in primo piano…
“L’arte è, essenzialmente, racconto. Non sono un attore, al limite un narrattore, come ha detto una volta un giornalista. Io immagino di avere tutti a casa mia e non in un teatro e racconto storie, come si faceva una volta nelle campagne, la sera della semina o del raccolto. E altre persone vicino a me, cantano e mi aiutano a raccontare. Da due anni porto in giro il Decamerock, con Chiara Buratti e Mauro Ermanno Giovanardi. Lei è mia moglie, lui come fosse mio fratello, la musica la mia famiglia. Giro l’Italia e provo a emozionare la gente. Cosa posso desiderare di più?”
Dal 2012 sei in onda su Virgin Radio, e per questo ha accettato di spostarti ogni giorno da Asti a Milano. Un bel sacrificio…
“Per me Asti è la città più bella del mondo. È la mia culla e il mio rifugio. Si respira cultura ovunque, nei teatri e nei locali, nella Biblioteca che ho avuto l’onore di intitolare a Giorgio Faletti quando ero assessore. Amo girare il mondo, ma non riuscirei mai a stare lontano da Asti. Adesso trasmetto da casa, ma fino a prima della pandemia mi svegliavo alle 4 del mattino, prendevo la macchina e andavo a Milano a fare il programma. Poi tornavo nella mia città. Stancante, certo. Ma, come diceva Monicelli, ho solo il diritto di dirlo e non di lamentarmi perché il mio è il lavoro più bello del mondo”.