di Fausto Cirillo
Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri la norma che sposta al 1 ottobre 2013 il termine a partire dal quale viene applicato l’aumento dell’aliquota ordinaria dell’Iva dal 21 al 22%. Una misura che testimonia la buona volontà del Governo, anche se sostanzialmente inutile, visto che non convincerà gli italiani alla ripresa dei consumi. Dalla bozza del decreto, che il governo ha approvato “salvo intese”, risulta infatti che le coperture del provvedimento (circa un miliardo di euro) arrivano dal rincaro dell’imposta sulle sigarette elettroniche che sale al 58,5% e dall’aumento degli acconti dovuti dai lavoratori autonomi e dagli imprenditori che presentano il Modello unico (la misura dell’acconto Irpef passa dal 99 al 100%, quella dell’Ires dal 100 al 101% mentre quella dell’Irap dal 100 al 110%), i quali dovranno così far fronte a un’ulteriore crisi di liquidità proprio quando le banche hanno da tempo chiuso i rubinetti del credito.
Il provvedimento non ha convinto nemmeno la componente berlusconiana della maggioranza.
Il capogruppo Pdl alla Camera Renato Brunetta ha usato un’ironia tagliente nei confronti del ministro dell’Economia e Finanze Fabrizio Saccomanni: «Ci sta mettendo tutta la buona volontà ma è nuovo del mestiere ed evidentemente non controlla la sua complessa e spesso non collaborativa tecnostruttura. Non possiamo però accettare né il metodo né il merito delle coperture individuate: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di partite di giro, al limite del raggiro. Non sono una cosa seria». Arrivando a Bruxelles alla riunione straordinaria dell’Ecofin, Saccomanni ha precisato che la decisione del rinvio è stata presa all’interno degli impegni europei e che «non ci sono sforamenti, non ci sono nuovi debiti». Si tratterebbe insomma di «misure di carattere temporaneo, che servono a riallocare, a creare un ponte verso un momento di riflessione, però nel contempo allentando la pressione del fisco, riducendo le imposte, in modo da facilitare il processo di ripresa economica». Per il leader della Lega Roberto Maroni siamo invece di fronte una «beffa che costringe imprese e lavoratori ad anticipare all’erario 2,6 miliardi per acconti Irpef e Ires 2014». Un dato confermato dall’ufficio studi della Cgia di Mestre.