La tassa sugli extraprofitti delle banche, ormai è noto, è stato un flop completo. Almeno per il governo e i conti dello Stato. Ben diverso, in realtà, è stato l’effetto per gli stessi istituti che hanno guadagnato, secondo le stime di Repubblica, tra i 3 e i 4 miliardi di euro in più proprio grazie alla tassa sugli extraprofitti.
Il governo, infatti, aveva dato agli istituti la possibilità di scegliere se versare la tassa o creare riserve patrimoniali pari a 2,5 volte l’imposta dovuta. Tutti hanno scelto questa seconda strada, potendo così dimezzare gli accantonamenti sui crediti e accrescendo gli utili d’esercizio di circa il 15%.
Tutto ciò, peraltro, in un quadro di utili record per le banche grazie al rialzo dei tassi della Bce. Nel 2023 infatti gli utili netti degli istituti sono stati pari a quasi 25 miliardi, un aumento di due terzi rispetto all’anno precedente.
Tassa sugli extraprofitti delle banche, cosa succede con l’accantonamento
Le banche, con la tassa sugli extraprofitti, dovevano scegliere tra il suo pagamento o l’istituzione di una riserva speciale non distribuibile, pari a 2,5 volte l’importo dell’imposta dovuta. Se si deciderà di dare questa quota in futuro agli azionisti, allora si pagherà la tassa. Altrimenti quelle risorse restano lì a rafforzare il patrimonio, esattamente come hanno deciso di fare tutti gli istituti italiani.
I conti e i profitti gonfiati grazie al governo
Le prime stime, quando la tassa era ancora in piedi nella sua versione originale, parlavano di possibili incassi per lo Stato da 2,5 miliardi. Alla fine forse la cifra sarebbe stata anche più alta, tanto che la riserva non distribuibile (2,5 volte più alta dell’imposta) è ammontata a cifre tra i 6,5 e i 7 miliardi di euro.
Quel che succede ora, invece, è che i banchieri possono limitare gli accantonamenti specifici a fronte di perdite sui crediti. Le cinque maggiori banche italiane, nel 2023, hanno visto la voce accantonamenti scendere in questo modo del 47% da 6,7 a 3,5 miliardi. Ovvero 3,2 miliardi di riserve in meno.
La First Cisl calcola che invece i crediti deteriorati netti per questi cinque istituti sono scesi soltanto di 1,5 miliardi, ovvero l’8%. In conclusione, gli istituti hanno così registrato profitti talmente alti che possono continuare a mettere da parte patrimoni e riserve erogando dividendi da record.