Il pubblico, come il cliente, ha sempre ragione perché paga il biglietto. Il ragionamento è diventato un mantra, condizionando tutto: dal commercio allo spettacolo. Un discorso universale. Così l’attore Riccardo Scamarcio, durante il suo intervento al Bif&st di Bari (un festival cinematografico), ha lanciato una provocazione fuori dagli schemi. “Il pubblico ha torto a prescindere”, ha detto sfidando la platea. La reazione è stata in gran parte quell’attesa: le persone presenti in sala hanno fischiato e qualcuno gli ha dato del “cafone”. A quel punto l’artista ha esagerato, innalzando eccessivamente il livello dello scontro.
Il concetto – Ma, al di là delle specificità del caso, la questione posta è importante: ogni opera culturale deve cedere alla “dittatura dell’audience”? Il risultato è di un livellamento verso il basso, perché non conta l’esito finale, la qualità, ma esclusivamente la necessità di compiacere le persone che fruiranno dello spettacolo. Il pubblico, appunto. Dai libri ai film, passando per il teatro, la tendenza è quella di privilegiare la carezza consolatoria con il tentativo di coinvolgere, badando bene di non sconvolgere. Lo sbocco finale è quello della creazione di un “prodotto standard” con un percorso prevedibile che tranquillizza l’utente finale. Bisogna dare un sapore già conosciuto per evitare l’effetto spiazzamento e non spiazzare il palato, nel senso più ampio della parola. E così sparisce del tutto la volontà di azzardare, di prendersi quella dose di rischio necessaria a creare qualcosa di diverso. È quello che, al netto dell’esagerazione di qualche parolaccia, ha fatto Scamarcio di fronte alla platea del festival del film di Bari. Perché un punto è centrale: se la richiesta è quella di un prodotto di bassa qualità, tendente allo scadente, deve essere per forza accontentata? Davvero l’arte, in qualsiasi forma si possa esprimere, deve piegarsi tout court a questa logica?
A tutto like – Scamarcio ha parlato principalmente di teatro quando si è riferito al rapporto con il pubblico. Ma c’è anche un elemento ulteriore: nell’epoca dei social media l’omologazione passa in maniera piuttosto evidente dal gradimento del pubblico di Facebook e Twitter. L’omologazione passa quindi per l’obiettivo di ottenere un like in più o qualche retweet. Il contenuto pubblicato deve evitare di creare una sorpresa al contatto social che, distrattamente, passa sulla bacheca di Facebook. Così la standardizzazione esonda dall’aspetto culturale finendo in quello personale. Anche perché l’arte ha da tempo abitutato tutti a non spaventarsi.