Di Gaetano Pedullà
Tre bombe ad agosto. Il Senato che taglia gli stipendi ai prossimi cento inquilini di Palazzo Madama (ma gli lascia l’immunità), il governo che fa marcia indietro sul pensionamento di quattromila docenti e infine il colpo che non ti aspetti: i magistrati che iniziano a rispondere per gli errori giudiziari. Una sfida da far tremare i polsi. Non solo perché ogni volta che si è tentato di riformare la giustizia chi ci ha provato ha fatto una brutta fine (chiedere, ad esempio, al guardasigilli dell’ultimo esecutivo Prodi, Mastella).
Adesso a provarci è Andrea Orlando, Pd, appartenenza politica che non lo preserva dalla reazione delle toghe, fin ora inflessibili nel difendere ogni loro prerogativa. I cittadini danneggiati da azioni palesemente sbagliate potranno rifarsi, ma non in modo diretto sul giudice. Sarà lo Stato poi a rivalersi arrivando anche a tagliare del 50 per cento lo stipendio del magistrato. In passato per ipotesi persino più blande si era sollevato immediatamente un polverone.
Adesso la stessa Associazione nazionale magistrati prende tempo prima di dire la sua. Il momento d’altronde è buono per discutere, non solo perché la magistratura divisa in correnti è sull’orlo di una crisi di nervi, accerchiata tra inefficienze, guerre tra bande (il caso della Procura di Milano non ha paragoni nel mondo) e stanchezza nel surrogare i vuoti della politica. A lanciare la palla, infine, non c’è più Berlusconi. Non sarà facile, ma se c’è una sola possibilità che questa riforma passi questo è il momento migliore. Anche se è meglio stare cauti nello scommetterci sopra.