Le polemiche e gli attacchi di Pd, Italia Viva e +Europa hanno funzionato: la Rai ha cancellato il contratto di Alessandro Orsini con Cartabianca, la trasmissione Rai di Bianca Berlinguer che aveva sottoscritto un accordo per sei puntate con il docente di Sociologia generale e direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale dell’Università Luiss.
Orsini da giorni è al centro di critiche per le sue posizioni considerate troppo filoputiniane
Orsini da giorni è al centro di critiche per le sue posizioni considerate troppo filoputiniane e la notizia del suo compenso di circa 2mila euro a puntata per 6 appuntamenti è sembrato il gancio perfetto per aumentare il fuoco di fila. Dura la reazione della Berlinguer, conduttrice della trasmissione: “Una decisione che limita gravemente il mio ruolo di autrice e di responsabile di Cartabianca per quanto riguarda la questione fondamentale della scelta degli ospiti e di conseguenza dei contenuti sui quali si costruisce la discussione”, dice la giornalista.
“Aggiungo che non condivido la decisione di escludere una voce certamente rappresentativa di un’opinione presente nella società italiana e tra gli studiosi, in quanto ciò porterebbe a una mortificazione del dibattito che per essere tale deve esprimere la più ampia pluralità di idee”. Da parte sua Orsini si dichiara pronto “a partecipare alla trasmissione” anche “gratuitamente” .
Com’era prevedibile il dibattito si è infiammato. Luigi De Magistris e Vittorio Sgarbi parlano di “censura”, Gianni Cuperlo (Pd) trova “sbagliata la polemica sulla presenza di un esperto di politiche della sicurezza nello studio di Cartabianca” chiarendo di non condividerne le posizioni ma di non accettarne “la messa al bando”.
Dello stesso avviso i deputati dei 5 Stelle Francesco Berti e Francesca Flati che parlano di “una vergogna per una democrazia matura e pluralista”: “Ai miei colleghi – scrive Flati, che fa parte della commissione di Vigilanza Rai – dico che non può essere la politica a decidere chi può e chi non può parlare, né tantomeno a fare la scaletta delle trasmissioni”. Dall’altra parte esultano il democratico Marcucci, la senatrice del Valeria Fedeli e il renziano Michele Anzaldi.
Nessuno però sembra centrare (o sembra voler parlare) del punto vero: nel suo contratto di servizio (2018-2022) la Rai si prende l’impegno di assicurare “un’offerta di servizio pubblico” improntata ai principi di “imparzialità, dell’indipendenza e del pluralismo, riferito a tutte le diverse condizioni e opzioni sociali, culturali e politiche, affinché ciascuno possa autonomamente formarsi opinioni e idee e partecipare in modo attivo e consapevole alla vita del Paese”.
Che il servizio pubblico ami alcune posizioni rispetto ad altre, che abbia sovradimensionato politici con bassissimo consenso elettorale e che proponga spesso una privilegiata chiave di lettura dei fatti è fin troppo chiaro. Non è un caso che nei corridoi di Viale Mazzini si tema più la telefonata di un politico di qualsiasi del riscontro degli ascolti. Il “caso Orsini” tra l’altro svela il segreto di Pulcinella: da anni l’informazione applica in tutto e per tutto le regole dell’intrattenimento, preoccupandosi più di catturare l’attenzione dei telespettatori che di informare.
È naturale che in questo paradigma il mercato degli intrattenitori proponga cachet che non sono commisurati con lo spessore delle opinioni e delle informazioni ma attengono al ruolo in commedia. Il problema non è Orsini, ma un servizio pubblico che spesso non rispetta il proprio mandato. Per dirlo però ci vuole coraggio vero, mica quello che basta per cacciare un professore.