C’è una cifra che pesa come un macigno sulle piccole e medie imprese italiane: tre miliardi di euro di danni in un anno. Il conto, certificato da un’indagine di Facile.it e mUp Research, è la fotografia plastica di un Paese che continua a essere colpito da calamità naturali sempre più frequenti e violente. Eppure, fino a oggi, solo il 6,2% delle micro e piccole imprese ha scelto di tutelarsi con una polizza assicurativa specifica. Il resto è affidato alla fortuna o, più spesso, alle casse pubbliche.
Dal 31 marzo, però, le regole cambiano: diventa obbligatoria la sottoscrizione di una polizza contro le calamità naturali per tutte le imprese con sede legale in Italia (escluse le agricole). Una misura necessaria, imposta dalla realtà prima ancora che dalla politica. Secondo i dati dell’indagine, sono oltre 278.000 le imprese che solo nell’ultimo anno hanno subito perdite economiche a causa di eventi estremi: alluvioni, frane, esondazioni, terremoti. Una lista che negli ultimi anni è diventata cronaca quotidiana, da nord a sud.
Polizze obbligatorie: una tutela o un nuovo costo?
La scelta del governo di rendere obbligatoria l’assicurazione Cat Nat ha un impatto immediato sui bilanci aziendali. I costi variano in base alla città e al tipo di attività. Per un ristorante con immobili e attrezzature per 400.000 euro, il premio annuale è di 343 euro a Milano, 401 a Roma e 469 a Palermo. Per un’autofficina si sale fino a 551 euro nel capoluogo siciliano, mentre un hotel di medie dimensioni dovrà mettere a budget almeno 703 euro a Milano, 720 a Roma e oltre 1.000 euro a Palermo.
Sono cifre che alcune imprese possono assorbire senza troppi problemi, ma per le realtà più piccole—quelle che costituiscono oltre il 90% delle aziende italiane—rappresentano un ulteriore fardello. D’altra parte, il rischio è evidente: chi resta senza copertura si espone a perdite potenzialmente devastanti, con danni che potrebbero superare di gran lunga il costo di una polizza annuale.
Il cambiamento climatico non è un’ipotesi, è già qui
Le cifre raccontano una verità che la politica continua a trattare come un’emergenza episodica invece che come un cambiamento strutturale. In un solo anno, tre miliardi di danni alle imprese significano filiere bloccate, posti di lavoro a rischio, investimenti cancellati. Il problema non è più solo ambientale: è economico, sociale, produttivo.
L’industria assicurativa lo ha capito da tempo: il rischio climatico è già un costo concreto. Ma la risposta non può essere solo quella di scaricare il problema sulle imprese. Perché ogni euro perso in alluvioni e frane è un pezzo di economia che si sfalda. E se la politica continuerà a rincorrere le emergenze invece di prevenirle, il conto sarà sempre più salato.