La Manovra è alle porte. Pietro Lorefice, senatore M5S e segretario della presidenza di Palazzo Madama, cosa ci aspetta?
“C’è una data di cui nessuno parla, il 20 settembre. Entro quella scadenza il Governo dovrà presentare a Bruxelles il Piano strutturale di bilancio, nuovo documento economico imposto dal rinnovato e dannoso Patto di stabilità, supinamente votato in Europa dal Governo Meloni. In questo documento l’Esecutivo dovrà mettere nero su bianco che nei prossimi anni interverranno altri tagli alla spesa sociale, alla sanità, all’istruzione, agli investimenti, come chiesto dalle nuove regole di governance economica europea. E’ come se il Governo dovesse spiegare all’Europa quale tipo di cappio al collo metterà all’Italia. Ne deriverà la successiva Manovra, che come le precedenti sarà basata sulla più classica austerità di destra”.
Per confermare le misure in scadenza, come il taglio del cuneo, servono fino a 17 miliardi.
“Tanti soldi per misure non risolutive. Siamo al secondo anno di semplice conferma del taglio del cuneo contributivo, che in quanto tale non metterà nemmeno mezzo centesimo in più in busta paga. Anche l’Irpef a tre aliquote non ha portato e non porterà nessun vantaggio in busta paga, perché è stata un’operazione messa in campo per evitare che il taglio del cuneo, agendo sui contributi, aumentasse la base imponibile rischiando di far pagare più tasse ai beneficiari. Era e resta quindi un’operazione di solo bilanciamento. Il tutto mentre si continua a non voler vedere il dramma del lavoro povero, con posti che sì aumentano, ma prevalentemente nei settori del turismo e della ristorazione, a basso contenuto tecnologico e senza nessun apprezzabile effetto sulla domanda interna, che resta fiacca. E si continua a non vedere la piaga del caporalato, con una nuova ondata di braccianti e lavoratori sfruttati emersi nelle ultime ore tra Lodi e Bologna. Peraltro, visto che, alla vigilia della Manovra, rispunta il sempreverde argomento della previdenza, una vasta letteratura economica ormai ci spiega che salari più alti significano contributi più alti e complessivamente maggiore sostenibilità del sistema pensionistico. Ma per la neoliberista Meloni questo semplice ragionamento è indigesto, visto che il suo approccio economico serve solo a garantire frammenti di società ed élite finanziarie”.
Nel frattempo il debito è salito.
“Mettiamo in chiaro una cosa. Il Governo Meloni sta facendo aumentare il debito pubblico sia in termini assoluti sia in rapporto al Pil, con una preoccupante inversione rispetto agli anni post pandemia. Grazie alle politiche economiche di reazione a quel dramma, il Governo Conte II ha permesso al debito di scendere dal 154,9% del 2020 al 137,3% del 2023, con un abbattimento di oltre 17 punti innescato grazie alla poderosa crescita. La Meloni, invece, sta facendo nuovamente aumentare il rapporto debito/Pil verso il 140% a causa di un ritmo di crescita crollato allo zero virgola. Ce lo dice anche l’Ocse: nel secondo trimestre del 2024 l’Italia è cresciuta dello 0,2% rispetto al trimestre precedente, al di sotto delle medie Ocse, Eurozona e G7. Con questa bassa crescita il debito pubblico in rapporto al Pil non può che aumentare. Lo ha detto chiaramente il Governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, al Meeting di Rimini: il debito pubblico va ridotto in rapporto al Pil e per farlo serve stimolare la crescita. Il debito/Pil è l’unico parametro che interessa ai mercati. La conclusione, quindi, è che quando Meloni e Giorgetti invocano la responsabilità nella gestione dei conti pubblici raccontano solo panzane, visto che con loro la crescita è a zero e il debito pubblico in aumento”.
È ancora polemica tra Governo e Stellantis sull’automotive.
“Il Governo Meloni, che in campagna elettorale si definiva pronto a gestire il Paese, si è solo rivelato pronto a farsi portare a spasso da Stellantis, che ha chiesto una valanga di incentivi pubblici senza minimamente garantire quel milione di auto prodotte in Italia di cui la premier Meloni e il ministro Urso vanno favoleggiando da quasi due anni. Di fronte alla presa per i fondelli, il Governo è dovuto correre in ginocchio da Pechino, sperando che qualche casa automobilistica cinese possa sostituirsi a Stellantis. Prima quindi l’Esecutivo smonta la Via della Seta per compiacere Washington, poi deve maldestramente riallacciare con la Cina per mettere un tappo alle falle dell’automotive. Sarebbe questa l’idea di politica industriale? Non c’è da stupirsi se, come certificato dall’Istat, siamo arrivati al 17esimo mese consecutivo di calo della produzione industriale su base annua”.