Il pianeta brucia mella fredda indifferenza dei media

Nel 2024 l’Europa segna il record di caldo, ma in Italia i media parlano sempre meno della crisi climatica e dei suoi responsabili

Il pianeta brucia mella fredda indifferenza dei media

Nel 2024 l’Europa ha conosciuto il suo anno più caldo da quando esistono le rilevazioni. Un continente in pieno squilibrio climatico ha contato almeno 335 vittime a causa delle inondazioni e oltre 400.000 persone colpite dagli eventi estremi. I ghiacciai europei si sono liquefatti con una velocità record, la Scandinavia e le Svalbard hanno segnato i peggiori tassi di perdita di massa glaciale mai registrati, il Mar Mediterraneo ha toccato temperature 1,2 gradi sopra la media. Sono dati ufficiali, certificati dal Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus, raccolti nel rapporto European State of the Climate 2024. Ma in Italia — dove più della metà del territorio è a rischio desertificazione — la crisi climatica ha perso spazio nei giornali e nei telegiornali. Letteralmente.

Secondo l’Osservatorio di Pavia, che ogni anno analizza l’attenzione mediatica sul tema per conto di Greenpeace, nel 2024 le notizie dedicate al clima sono crollate del 47% sui quotidiani e del 45% nei telegiornali rispetto all’anno precedente. Il risultato: un articolo ogni due giorni nei giornali, un servizio ogni dieci giorni in tv. Di fronte alla peggior crisi ambientale della nostra epoca, l’informazione italiana ha scelto il silenzio. E quando ne parla, il clima entra dalla porta di servizio: diventa un problema economico, un ostacolo burocratico, un fastidio regolatorio.

L’ossessione per i costi e il tabù dei responsabili

L’Italia è uno dei Paesi più esposti alla crisi climatica, ma nel racconto mediatico a prevalere sono state le preoccupazioni per i costi della transizione. Le narrazioni dominanti — spesso figlie del governo in carica — hanno insistito sui “sacrifici economici”, sulla “pressione delle direttive europee”, sulla necessità di “rivedere i tempi del Green Deal”. Una su tutte: la battaglia contro la direttiva Case Green, rappresentata come una vessazione ai danni dei proprietari, invece che un investimento per ridurre emissioni e bollette. In questo contesto, il 64% delle dichiarazioni dei leader politici rilevate nel 2024 non ha mai nemmeno nominato la crisi climatica.

Ma la vera fotografia di un sistema informativo inquinato arriva dai numeri della pubblicità. Mentre il tema climatico spariva dalle pagine e dai palinsesti, le pubblicità delle aziende inquinanti aumentavano: 1.284 nel 2024, più dell’anno precedente. Più spazio agli spot di gas, petrolio e automotive, meno spazio alle notizie sulle cause e gli effetti del riscaldamento globale. È un conflitto d’interessi strutturale che inquina non solo l’aria, ma anche il dibattito pubblico.

I telegiornali hanno citato le compagnie dei combustibili fossili come responsabili della crisi climatica una sola volta in tutto l’anno. Una. Volta. E nei giornali le fonti principali delle notizie sul clima sono state per il 40% rappresentanti del mondo economico. Quasi nessuno spazio agli scienziati, agli attivisti, ai cittadini che vivono sulla propria pelle le conseguenze del collasso climatico.

Un’informazione ostaggio dell’inazione

Il risultato è una narrazione sgonfiata, distorta e spesso manipolata. La resistenza alla transizione ecologica ha trovato casa nel linguaggio dell’equilibrio: il “pragmatismo”, la “neutralità tecnologica”, la “transizione realistica”. Un eufemismo dietro l’altro per giustificare l’immobilismo. Secondo il rapporto di Greenpeace, il 17% degli articoli dei quotidiani e il 19% dei servizi dei telegiornali conteneva esplicite narrative contrarie alla transizione ecologica o a singole azioni climatiche. È un dato in crescita rispetto al 2023. E non è un caso: coincide con l’ascesa di un governo che ha trasformato l’ambiente in un terreno di scontro ideologico, mentre autorizza trivelle e rallenta le rinnovabili.

Lo spazio per il clima si restringe anche nei palinsesti e nei bilanci editoriali. Nessuna delle cinque principali testate italiane ha raggiunto la sufficienza nella classifica di Greenpeace sul trattamento della crisi climatica. Solo Avvenire si salva parzialmente (5,4 su 10), seguono Corriere della Sera (3,2), Il Sole 24 Ore (3), la Repubblica e La Stampa fanalini di coda (2,6). I criteri sono semplici: frequenza della copertura, citazione delle cause (i combustibili fossili), spazio dato alle pubblicità inquinanti, trasparenza sui finanziamenti, varietà delle fonti.

In questo scenario, l’appello degli scienziati resta inascoltato. Il 2024 è stato l’anno delle inondazioni più diffuse dal 2013, del secondo più alto numero di giorni con stress da caldo, della maggiore perdita di ghiaccio nei ghiacciai europei, di oltre 100.000 ettari bruciati solo in Portogallo a settembre. L’Europa è la regione del mondo che si riscalda più rapidamente, e secondo l’IPCC — se non cambierà la traiettoria — un riscaldamento globale di 1,5ºC potrebbe causare 30.000 morti ogni anno nel continente.

Ma in Italia, tutto questo si può ignorare. Basta che non rovini la campagna pubblicitaria di un nuovo SUV. Basta che non ostacoli il racconto di una transizione lenta, gestita dai padroni dell’energia, diluita nel tempo e svuotata di senso.

Il clima cambia. La stampa italiana, no.