Sono guardinghi i dem. Nel giorno dell’incontro tra il premier Mario Draghi e il leader del M5S, Giuseppe Conte sono stranamente in silenzio fatta eccezione per l’ex renziano di ferro Andrea Marcucci. È bene che ci sia il dialogo tra Draghi e Conte, fanno sapere in serata fonti del Nazareno interpellate al riguardo, “naturalmente il nostro auspicio è che questo dialogo prosegua e si rafforzi affinché sia garantita la stabilità di governo”.
La tensione resta alta e il timore degli alleati M5S nell’ex fronte rosso-giallo è che lo strappo possa avvenire nel giro di qualche mese
Conte ha alzato l’asticella e a Draghi ha chiesto risposte precise sui temi che gli stanno a cuore, dal Superbonus al Reddito di cittadinanza e al salario minimo, per poter giustificare la sua permanenza al Governo. Nessuna cambiale in bianco, ha detto il leader del M5S. Che ha manifestato il suo disagio politico e ha chiesto discontinuità per continuare a sostenere i Migliori.
“La discontinuità mi sembra molto più difficile, Conte ricorda che siamo in un governo istituzionale?”, dice Marcucci. Il Pd è ben consapevole che il Movimento rimane una polveriera tra chi cerca il casus belli per uscire e chi invece, come i governisti, preme per rimanere nell’esecutivo. Insomma la tensione resta alta e il timore degli alleati M5s nell’ex fronte rosso-giallo è che lo strappo possa avvenire nel giro di qualche mese, se non nelle prossime settimane.
Ovvero in coincidenza della legge di bilancio. Perché è vero che Conte ha sottolineato la responsabilità del M5S ma sulle richieste ha alzato comunque l’asticella e dovrà poi gestire l’insofferenza dei parlamentari. Soprattutto di quella dei senatori. Il numero uno del Pd, Enrico Letta, impegnato ieri a fare un punto sulle Regionali del Lazio del prossimo anno ieri ha scelto il silenzio. Dopo che il giorno prima aveva indicato in Verona il modello di alleanze da presentare alle prossime politiche.
Intanto Letta che aveva definito come il “peggiore possibile” l’attuale sistema di voto, puntando il dito contro il sistema delle preferenze bloccate, incassa il no di Giorgia Meloni al proporzionale. Il segretario dem in realtà non si era sbilanciato apertamente segnalando una preferenza tra sistema maggioritario o proporzionale. Ma la leader di FdI chiarisce: “Il Rosatellum non è il miglior sistema possibile, indubbiamente, ma se il discorso si apre per portarci al proporzionale mi tengo il Rosatellum”.
Anche se Meloni si dimostra più disposta a rivedere il sistema di voto rispetto agli alleati della Lega, che avevano prontamente fatto sapere di non essere disposti a “perdere nemmeno un minuto per cambiare la legge elettorale”. Sulla questione è intervenuto anche il presidente della Regione Liguria e leader di Italia al Centro Giovanni Toti che prova a proporre un proprio modello: “Chi dice che questa legge garantisce stabilità dice una cosa falsa”.
“Io vorrei una legge alla tedesca con le preferenze e poi in Parlamento in base ai programmi si fa il governo”. In realtà, una proposta di legge che ricalchi i suggerimenti avanzati da Toti esiste già, le era stato dato il nome di “Germanicum” (sul modello tedesco, appunto), ed era strutturata come un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. È ferma però in Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati dal gennaio del 2020.