Tutto sembra ancora in alto mare. C’è tempo fino alla mattina di sabato 14 gennaio per presentare le candidature (che verranno pubblicate sul portale della Camera come previsto dalla legge Cartabia, in nome della trasparenza) e le trattative sono appena iniziate, in vista della riunione del Parlamento in seduta comune del 17. Allora conosceremo i nomi dei dieci nuovi membri laici del Csm.
Nel Pd litigano su tutto, ma poi si trovano d’accordo se c’è da spingere al Csm l’ex ministra Cartabia, demolitrice della riforma Bonafede
I partiti ovviamente stanno tessendo le loro reti e muovendo le loro pedine per capire come piazzare uomini e donne fedelissimi in un ruolo chiave com’è appunto quello del Consiglio Superiore della Magistratura. Tanti sono i nomi che stanno circolando, ma uno su cui pare ci siano pochi dubbi è quello di Marta Cartabia. Nome altisonante, non c’è che dire. Ma ci si sarebbe aspettato che a proporlo sarebbe stato il Terzo Polo. E invece no.
Sarebbe proprio il Partito democratico ad aver pensato all’ex Guardasigilli, segno evidente che la stagione targata Enrico Letta non è affatto conclusa. In ambienti dem si riflette sul fatto che, per mantenere la vicepresidenza dopo l’uscente David Ermini grazie ai voti dei consiglieri togati, la strada più intelligente è quella di puntare su un nome tecnico, che possa piacere anche ai magistrati moderati. Per questo nella rosa di nomi la più accreditata è l’ex ministra. Dopo l’esperienza a via Arenula l’ex presidente della Consulta dovrebbe tornare nella sua Milano, dove l’attende una cattedra all’università Bocconi. Ma starebbe facendo di tutto per rimanere a Roma.
Il vero problema, però, è che proprio la Cartabia nel suo periodo al ministero ne ha combinate di cotte e di crude. La riforma che porta il suo nome è stato aspramente criticata da vari professionisti del settore tra accademici, giuristi, magistrati e avvocati. E non solo perché rischia di lasciare a piede libero piccoli criminali come i borseggiatori. Ma anche per ragioni ancora più surreali. L’idea che si sta profilando, come hanno spiegato vari accademici, è che converrebbe quasi patteggiare sempre e comunque, il tutto per garantire lo smaltimento dei fascicoli.
Anche per reati odiosi e gravissimi: mafia e terrorismo, riduzione in schiavitù, tratta di esseri umani, prostituzione minorile o violenza sessuale su minori. Rinunciando a processare imputati già condannati, anche se delinquenti abituali o professionali, e garantendo loro ampi sconti di pena, magari con il bonus di non finire nemmeno in carcere.
Questo l’ennesimo assist all’impunità – come denunciato pochi giorni fa dal Fatto Quotidiano – che ha raccontato un clamoroso caso a Venezia: un uomo responsabile di abusi sessuali sulla figliastra 11enne, condannato in primo grado a sei anni di reclusione, ha strappato una riduzione di oltre un terzo della pena, scesa a tre anni e otto mesi, senza nemmeno celebrare l’appello. E ottenendo così allo stesso tempo il beneficio della detenzione domiciliare, che per le condanne fino a quattro anni – altra novità della riforma – può essere concesso direttamente dal giudice di merito, in questo caso la Corte d’Appello, senza bisogno di passare per la magistratura di Sorveglianza. Una vicenda che inevitabilmente ha provocato lo sconcerto generale. Insomma, un biglietto da visita non proprio encomiabile per la Cartabia.
Il M5S pare voglia puntare su Ettore Licheri. La Lega su Francesco Urraro
Ovviamente però ci sono anche altri nomi che circolano. Pare che il Movimento cinque stelle voglia puntare su Ettore Licheri, mentre la Lega starebbe pensando a Francesco Urraro, ex Cinque stelle poi passato sul Carroccio di Matteo Salvini. C’è poi Forza Italia. In campo, allo stato, per Fi, infatti, riferiscono, ci sarebbero due ex parlamentari uscenti, il senatore emiliano Enrico Aimi e l’avvocato genovese Roberto Cassinelli (fino alla scorsa legislatura sedeva a Montecitorio), anche se qualcuno fa il nome di una donna, la perugina Fiammetta Modena, pure lei avvocato, già esponente di palazzo Madama.
L’ultima parola spetterà a Berlusconi dopo un confronto con i vertici azzurri. Ma non è tutto. Non sono pochi coloro che nel frattempo hanno deciso di avanzare la propria candidatura. Avvocati e professori, certo. Ma anche ex politici. Tra loro, ad esempio, spicca l’ex forzista Luigi Vitali: senatore fino alle ultime elezioni politiche, ha alle spalle 4 legislature a Montecitorio e una a Palazzo Madama. Ma non è l’unico.
Tra chi si è proposto spunta anche Gaetano Pecorella: noto penalista milanese e in passato avvocato di Silvio Berlusconi, è stato deputato per quattro legislature di fila (dal 1996 al 2012), durante le quali ha partorito la cosiddetta “legge Pecorella“, che impediva ai pubblici ministeri di appellare le sentenze di assoluzione: la norma fu dichiarata poi incostituzionale. A provarci però sarà anche Nino Lo Presti. Sperando magari nel governo di destra, l’ex deputato per 4 legislature (dal 1996 al 2012) si candida al Csm.
E non è la prima volta: già nel 2010 era stato indicato dal Pdl. Il suo nome venne poi escluso perché considerato dai berlusconiani troppo vicino a Gianfranco Fini. Chissà se ora con la Meloni le cose potrebbero andare diversamente. E a sinistra? Anche qui abbiamo candidati. Uno su tutti, Nello Formisano: il 7 dicembre scorso ha depositato la sua candidatura dopo aver collezionato anche lui 4 legislature tra Margherita, Italia dei Valori e Articolo1. Ma non è finita qui.
Tra i candidati “autonomi” c’è pure Lorenzo Borrè, l’avvocato divenuto famoso a suon di ricorsi presentati contro il Movimento cinque stelle. Ma dove nasce l’avvocato? Un passato nel Fronte della gioventù ai tempi del liceo Giulio Cesare, dal suo studio di Prati già dal 2017 ha cominicato ad impugnare espulsioni comminate dai padroni del Movimento, ottenendo in alcuni casi anche importanti reintegri in via cautelare o in base ad accordi extragiudiziali. “Costante, solerte, studia e trova incongruenze in quell’intreccio di armonie approssimative, in quel campo di contraddizioni e di violenze alla logica – e dunque al diritto – che è il non statuto del Movimento”, scriveva tempo fa Il Foglio.
Insomma, la lista è lunga e i giorni per trovare una quadra diventano sempre meno. Il dubbio (e il rischio) è che alla fine saranno logiche di partito a decidere il futuro del Csm.