Elly Schlein ha vinto le primarie. Ha preso un partito ridotto ai minimi termini e lo ha riportato sopra il 22%, con Fratelli d’Italia in flessione. Ma c’è una parte del PD che non se ne fa una ragione. Non ha mai accettato il risultato delle primarie, non ha mai riconosciuto davvero la legittimità della segretaria e al primo voto europeo utile ha deciso che il patto di non belligeranza era carta straccia.
Non è bastato il bagno di folla a Piazza del Popolo, non è bastato il lavoro per tenere il partito fuori dall’ambiguità sulla guerra e sulle scelte europee. Quando si è trattato di votare il piano ReArm Europe, Schlein si è ritrovata con dieci europarlamentari del PD – tra cui Pina Picierno, Antonio Decaro e Stefano Bonaccini – schierati per il sì alla linea di von der Leyen, e undici che si sono astenuti seguendo la linea della segreteria.
La minoranza ha deciso che era il momento di colpire, e la stampa amica si è mossa di conseguenza. “Il Foglio” ha già iniziato a spingere Picierno, mentre altri quotidiani hanno tirato fuori il nome di Decaro, che si è affrettato a smentire. Il copione è sempre lo stesso: una minoranza interna che si agita, i giornali che soffiano sul fuoco, la parola “congresso” che comincia a girare.
Chi comanda davvero nel Pd?
Schlein è segretaria, ma il gruppo parlamentare europeo del PD ha una composizione che non la segue. C’è un evidente problema di classe dirigente: il partito è ancora nelle mani di chi la segretaria non l’ha mai voluta. Non è un caso che Bonaccini abbia votato con la minoranza, né che Picierno – piazzata in Europa con un ruolo da vice che l’ha resa inevitabilmente un polo di potere autonomo – abbia alzato il tiro contro la leadership.
Forse sarebbe stato più utile giocarsi diversamente le nomine in Europa. Forse, invece di candidare Marco Tarquinio e Cecilia Strada solo come “agenti esterni”, si poteva puntare su una vicepresidenza europea a un nome più solido, come Nicola Zingaretti, invece di consegnare Picierno a una posizione che oggi usa per attaccare.
Il Pd, il solito Pd: l’eterna erosione del segretario
D’altronde, la storia si ripete. Il PD è l’unico partito che consuma i suoi segretari con la sistematicità di un rituale. Bersani nel 2013 si ritrovò impallinato dal fuoco amico nel momento più delicato: aveva vinto le elezioni ma non riuscì a eleggere un presidente della Repubblica perché il partito gli si rivoltò contro, mandando in fumo prima Franco Marini e poi persino Romano Prodi. Poco dopo dovette dimettersi. Stessa fine per Veltroni prima di lui, per Renzi dopo. Sempre la stessa storia: il segretario di turno si trova a combattere non solo contro la destra, ma anche contro il suo stesso partito. Il risultato è un partito che, a ogni tornata elettorale, appare bloccato e ripiegato su se stesso, più impegnato a farsi la guerra interna che a battere la destra.
L’episodio del Senato si inserisce in questo schema. Dopo giorni di trattative, la segretaria è riuscita a evitare una nuova frattura nel voto sulla politica di difesa europea, con una risoluzione che tiene insieme le due anime del partito. Ma il punto è un altro: non è una questione di singoli voti, è una questione di potere. La minoranza riformista ha ormai rotto il patto di tregua, e la strategia è evidente: logorare la segretaria dall’interno, mettendo in dubbio ogni sua scelta e presentandola come isolata.
I riformisti senza sponde, nemmeno da Renzi
L’idea della minoranza era chiara: presentare Schlein come isolata, minoritaria, fuori dalla realtà del PD. Ma i numeri non tornano. Perché se i riformisti del PD speravano di trovare una sponda in Renzi, hanno fatto male i conti. Il leader di Italia Viva ha definito il piano di von der Leyen “fuffa”. Quindi la minoranza interna si ritrova a premere per un riarmo europeo senza nemmeno il sostegno di chi storicamente ha sempre spinto per l’atlantismo spinto. Intanto, mentre la minoranza agita lo spettro del congresso, i numeri dei sondaggi raccontano un’altra storia: il PD è l’unico partito in crescita. Fratelli d’Italia perde lo 0,2%, Italia Viva è sotto il 2,5%.
Ma è davvero Schlein ad avere un problema?
Certa stampa scrive di un PD spaccato, di una segretaria in difficoltà, di un partito alla deriva. Eppure, c’è un dettaglio che viene sempre omesso: Schlein ha preso un partito morente e lo ha riportato sopra il 22%, con margini di crescita reali. Il PD torna a giocare partite politiche da protagonista, ma per qualcuno questo non va bene.
La vera domanda è un’altra: dove sta andando questo partito? Schlein è stata eletta con un mandato chiaro, ma il PD sembra rispondere sempre con la stessa logica autolesionista. Se il modello è quello visto con Bersani, Veltroni e gli altri il futuro è già scritto: una leadership sotto costante assedio, una minoranza che lavora ai fianchi e un partito che, ancora una volta, rischia di restare fermo mentre gli altri si muovono.