Al termine dell’assemblea dei gruppi parlamentari andata in scena ieri sera al Nazareno (assente Matteo Renzi), un senatore Pd di fede renziana la mette giù così: “È un rito che doveva essere esercitato, ma com’era prevedibile si è concluso senza alcuna novità. La nostra posizione resta la stessa, almeno per ora. Ma se la situazione non si sblocca, al terzo/quarto giro rischiamo di andare in confusione…”. Insomma, la linea che il segretario reggente Maurizio Martina ribadirà domani, quando salirà al Quirinale per incontrare il capo dello Stato, Sergio Mattarella, è il “no” al Governo col M5s perché “la logica di Di Maio è irricevibile” e “Pd e Lega non sono interscambiabili”.
Non tutti ovviamente nel partito la pensano allo stesso modo. C’è l’ala che, al contrario di quanto sostenuto da Martina, vorrebbe aprire al dialogo coi grillini ma a certe condizioni. “Al di là della sincerità o meno dell’apertura di Di Maio a Martina – annota il solito Francesco Boccia –, credo che dobbiamo sempre guardare le carte sui temi che ci stanno a cuore. Ci sono temi su cui Pd e M5s sono naturalmente partner, poi dipenderà da loro comportarsi nel merito. Oggi è prematuro dire ‘ci stiamo’, quello che non possiamo permetterci è dire ‘non ci stiamo e basta’”. E quella che vuole scongiurare che si saldi l’asse tra Carroccio e pentastellati, ma non per dare appoggio a un Esecutivo con Di Maio & C. Dario Franceschini, spiega la stessa fonte, avrebbe sgombrato il campo dalle ipotesi che lo vorrebbero leader della fronda che strizza l’occhio al M5s. “Perché – ha domandato piuttosto il ministro della Cultura uscente – non ci infiliamo nelle loro contraddizioni? Perché non diciamo ‘siamo pronti a dialogare con chi condivide questi quattro punti’ (taglio del costo del lavoro e reddito di inclusione, controllo della finanza pubblica, gestione del fenomeno migratorio e rafforzamento del quadro internazionale, ndr) e vediamo come funziona? Anche perché non c’è solo la possibilità di andare al Governo, si può graduare l’opposizione a seconda del numero dei punti condivisi. In politica c’è anche la riduzione del danno al Paese. Io credo che ci sia un grande spazio per l’iniziativa politica del Pd”.
Di parere diverso Matteo Orfini: “Il M5s non è una costola della sinistra ed è distante dal Pd, almeno quanto il Pd è distante dalla Lega”, perciò “non possiamo non stare all’opposizione”. Oltre a quello sul Colle, l’altro occhio dei dem è puntato sulla partita per la leadership del Nazareno. L’Assemblea del 21 sarà uno snodo centrale.
Doppia partita a scacchi – La renziana Alessia Morani propone “un congresso al più presto per rifondare il Pd”, ma prima servirà quantomeno eleggere un traghettatore. Ieri a sondare il terreno è stato Luca Lotti, che alla Camera ha incontrato prima Orfini e poi Ettore Rosato. “Da presidente dell’Assemblea auspico che ci sia una candidatura unitaria attorno a una personalità che possa gestire il partito nei prossimi mesi – ha spiegato Orfini –. Se non ci saranno le condizioni per questo, allora faremo il congresso”. Proprio su questa ipotesi starebbero lavorando nelle ultime ore i renziani, forti di un dato di fatto: “In Assemblea abbiamo numeri schiaccianti”. Sull’intesa il 21, tra l’altro, si era sbilanciato anche Andrea Orlando. “Sarebbe meglio. Ma questo non deve spaccare il partito”, aveva detto. Il punto, quindi, sarebbe quello di trovare un nome su cui convergere unitariamente. I petali della margherita renziana, al momento, sarebbero ridotti a due: Martina o Lorenzo Guerini. La resistenza di Graziano Delrio alle lusinghe sarebbe infatti insuperabile. Da definire, poi, ci sarebbe il tipo di mandato da assegnare al nuovo segretario. Ma la questione è politica. “Il lavoro da fare è lungo”, spiegava ieri un big renziano lasciando intendere che non sarebbe necessaria una data di scadenza. Tra le ipotesi, ci sarebbe però anche quella di impegnarsi per un ‘tagliando’ entro le Europee. Al netto della velocità col quale potrebbe cambiare il quadro istituzionale.