di Peppino Caldarola
Il Partito democratico non trova tregua anche quando i risultati elettorali gli danno una boccata di ossigeno. Come è successo ieri con l’affermazione alle amministative in 11 grandi comuni su 11. Mettendo in fila le questioni e gli uomini che lo dividono, al primo posto c’è sempre lui, il sindaco di Firenze che sembra aver sciolto la riserva sulla corsa per la segreteria del partito. Le condizioni che pone sono al tempo stesso ragionevoli e singolari. Renzi vuole primarie apertissime e vuole vedere quali regole approverà la commissione che sarà presieduta, forse, dal bersaniano Zoggia per decidere se partecipare o meno. Se dovesse rinunciare per via di clausole inaccettabili saremmo probabilmente di fronte al rischio di una separazione traumatica fra lui e l’attuale maggioranza del partito. Le sue condizioni sono ragionevoli perché chiede la partecipazione più ampia, singolari perchè chiede che qualunque cittadino possa votare non già per eleggere un candidato premier ma un segretario di partito, carica che dovrebbe riguardare esclusivamente coloro che votano per il Pd. Il braccio di ferro è fra Renzi e Bersani. L’ex leader invece di passare i prossimi anni a interrogarsi sulle ragioni di una sconfitta elettorale senza precedenti, vuole continuare a dirigere per interposta persona il partito.
Accordo fatto con il premier
Renzi, intanto, sta facendo il pieno nei suoi tour pre-elettorali ma anche Fabrizio Barca sta battendo la penisola con conferenze molto affollate. Barca dichiara di non voler correre per la segreteria anche perché l’area politica a cui si rivolge ha già scelto Gianni Cuperlo come leader. Non tutti sono conviti che sarà questa però la scelta finale della cosiddetta sinistra del partito. A Renzi è andato l’appoggio di Veltroni e Chiamparino, la non belligeranza di D’Alema, l’ostilità di Fioroni e Bindi, il vengo-o-non-vengo di Franceschini, che, al solito, vuole prima vedere chi vince per decidere. Il sindaco fiorentino sembra aver chiuso un accordo con Enrico Letta che non sarà un suo competitor avendo come obiettivo quello di far bene al governo per poi guardare a un incarico europeo essendo poco plausibile che possa correre contro quel PdL oggi suo alleato.
È proprio un tema che sta a cuore a Letta, il presidenzialismo, a introdurre una nuova spaccatura nel Pd. C’è un’area che è totalmente contraria a questa modifica istituzionale. Si va da Bindi a Civati a Fioroni ad altri. C’è un’altra area che è favorevole che comprende Veltroni, Chiamparino e Prodi. Vi sono poi coloro che considerano preferibile l’elezione diretta del premier considerando il Quirinale organo super partes che è bene che venga eletto per via parlamentare. Fra questi c’è Massimo D’Alema.
Divisi alla meta
Ma la vera divisione corre su altri binari. Fra i favorevoli e contrari si allarga l’area di chi ritiene che, a fronte di una ostilità di base verso il presidenzialismo, non è ragionevole introdurre altre fratture traumatiche nel partito. I settori ostili al presidenzialismo comprendono sia chi vede nell’avvento del presidente eletto dal popolo la minaccia di una svolta autoritaria, chi teme che la sinistra sarebbe battuta da Grillo o da Berlusconi e chi pensa che i tempi non sono maturi per una correzione così profonda dell’assetto delle istituzioni. Questa corrente potrebbe diventare maggioritaria e mettere assieme coloro che sono ostili per preconcetto a coloro che sono ostili per ragioni di opportunità.
Non si comprende a questo punto per quale ragione Letta abbia deciso di dare questa torsione al suo rapporto con il partito. Letta sa che dirige un governo non amato dai militanti del Pd e che da lui ci si aspettano misure economiche incisive sul tema del lavoro. E invece ha scelto di procedere sulla riforma delle riforme. Alcuni saggi, come la Carlassare, abbandoneranno il tavole se il comitato sceglierà questa proposta. Altri, fra questi i saggi che traggono ispirazione da Romano Prodi, insisteranno perché questa idea diventi realtà. Trovare un punto di compromesso sarà in ogni caso difficile soprattutto se il tema della riforma non sarà accompagnato da risultati sul terreno dell’economia e del lavoro.
Perché Letta ha scelto questa strada e perché Renzi, che propone al Quirinale una specie di sindaco d’Italia, vi si oppone? Letta vuole presentarsi agli appuntamenti futuri come il leader che ha tentato di scardinare antiche credenze e anche antiche ipocrisie della sinistra. La sinistra già elegge non solo sindaci e presidenti di regione direttamente ma ha fatto delle primarie la sua bandiera.
Renzi teme invece che anche questa battaglia appaia come un cedimento al berlusconismo e avendo deciso di recuperare immagine e voti a sinistra, essendo convinto di poter comunque pescare suffragi nei mondi di destra, prende le distanze dai progetti dell’attuale premier. Messe così le cose, la strada del presidenzialismo si rivela assai impervia e il Pd rischia, su questo tema, di spaccarsi davvero.