Giorgio Gori almeno lo dice senza nascondersi: “Grazie a Dio oggi Draghi il “dittatore” se ne frega di Conte e Salvini. Ma dopo?”, scrive il sindaco di Bergamo. Gori scrive di Conte che “vuole far saltare l’alleanza occidentale non mandando più armi in Ucraina”, lasciando trasparire una visione piuttosto categorica del mondo, come se per salvare l’alleanza occidentale bisognasse pedissequamente eseguire gli ordini senza un briciolo di identità e di opinioni.
Ma quella che Gori chiama “dittatura del sofismo” di Conte è la solita solfa di chi in questa guerra non ha ancora dismesso la postura con l’elmetto, nonostante il riposizionamento (almeno a parole) di Draghi e del segretario del Pd Enrico Letta. Gori insiste, pigia con “l’aggredito si dovrebbe difendere con moderazione in modo da non infastidire più di tanto l’aggressore”, con “le armi giuste sarebbero pistole a gommini e cerbottane con la carta ciancicata” per finire con la solita accusa di filo-putinismo.
Draghi premier a vita
Gori ha gioco facile: dopo avere banalizzato la discussione sulle armi (chissà se fosse ancora vivo Gino Strada che ne direbbe di una tiritera che è sempre la stessa da parte di chi gioca alla guerra senza avere idea di cosa sia) al sindaco del Pd basta estrarre dal cilindro Matteo Salvini come esempio di “capovolgimento delle responsabilità che fa seriamente dubitare della buonafede del leader della Lega”.
Preparato il sacchetto dei populisti vien da sé che l’elogio a Draghi sia la conclusione perfetta per indicare la strada al Partito democratico: “In questa fase il “dittatore” Draghi incarna al meglio la forza intrinseca di una democrazia liberale capace di decidere senza ricatti emotivi”, scrive Gori. E qui arriviamo al punto: “Mancano pochi mesi a elezioni politiche vitali per l’Italia e per la nuova Europa. – ci spiega il sindaco di Bergamo -. Non possiamo pretendere che Draghi continui così, senza una maggioranza che esiste nel paese ma che in Parlamento è dispersa in mille rivoli e in tutti i partiti. Non possiamo pretende che l’Italia abbia la fortuna di avere sempre un Draghi nel cassetto senza che la politica abbia fatto nulla per meritarselo”. Quindi?
Tutto questa filippica paternalistica per dire che Gori, come altri nel Pd, sogna tutte le notti il suo partito come promotore della candidatura di Draghi al capo del prossimo governo dopo le elezioni. Niente di strano, tutto legittimo. Del resto Gori semplicemente riprende le posizioni di chi, come Renzi e Calenda, sarebbe disposto solo a riavere Supermario presidente del Consiglio come unica alternativa a se stessi. Solo che Azione e Italia Viva insieme hanno percentuali buone per scegliere al massimo l’ammazzacaffè nella pausa pranzo del Parlamento mentre il Partito democratico è una delle forze politiche più importanti del Paese.
La grande ammucchiata politica
Il pezzo del Pd che vorrebbe Draghi ancora presidente risolverebbe in un colpo solo diversi problemi: potrebbe finalmente tornare a riabbracciare i vecchi compagni di viaggio renziani, finendo di essersi ritrovati per una semplice coincidenza di percorso; potrebbe scrollarsi di dosso gli odiati grillini scegliendo alleati più confortevoli, anche se di posizione politica apparentemente opposta; potrebbe ancora una volta alimentare il proprio desiderio di essere in un governo che si finge un brodino caldo per accarezzare Confindustria; potrebbe entrare in quel “grande centro” che dalla nascita del Partito democratico è il sogno degli ex margheritini che mal sopportano le intemperanze di chi non è disposto a mediazioni sui diritti, sul lavoro, sulla sanità pubblica, sulla cura dell’ambiente e su una transizione ecologica che non sia solo uno spot; potrebbe perfino togliersi quello stancante rito di fingere di cercare un’alleanza con le forze a sinistra (Articolo Uno, Sinistra Italiana, Possibile) che mal sopporta; potrebbe finalmente ritrovarsi a pochi metri da quella “parte sana” (la chiamano così) della Lega, di Forza Italia e perfino di Fratelli d’Italia con cui sognano di poter fare comunella; potrebbero trovare un altro motivo laterale per diluire i propri principi e il proprio programma dicendoci che “Draghi val bene una messa” e farlo diventare un altro irrinunciabile “atto di responsabilità” com’è stata la pandemia.
Oppure potrebbero, con onestà intellettuale, riconoscersi tra simili, smettere di stare sparpagliati negli altri partiti e prendersi la responsabilità e il rischio di farne uno ltutto oro. Sarebbe un salutare chiarimento del quadro politico. Grazie a Dio e grazie a Draghi.