Donatella Di Cesare, docente di Filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma, come valuta il patto Letta-Calenda?
“Si tratta di un’alleanza tattica che avrà le sue ragioni di politica elettorale ma che non è strategica e che nei fatti mette il sigillo a un indirizzo imboccato da tempo da Enrico Letta. Un’alleanza che non solo chiude a sinistra ma certifica la separazione tra una politica sempre più elitaria e il popolo. E questo è un nodo cruciale su cui si riflette poco. Aver lasciato fuori il Movimento 5 Stelle lo conferma. Il Movimento infatti, pur nella sua frammentarietà sotto molti punti di vista, rappresentava la possibilità di ritrovare il collegamento tra élite e popolo. E questo confluire sull’agenda Draghi è insufficiente e conferma un vuoto di temi e di riflessione. Quello che mi preoccupa è la mancanza di analisi politica anche rispetto al contesto storico e sociale particolare in cui ci troviamo”.
In cosa è deficitario l’accordo Letta-Calenda?
“Il patto in due punti tra Letta e Calenda rappresenta una soluzione deludente non solo per la seconda parte dove la distribuzione dei collegi è pensata secondo la logica dei veti e delle esclusioni, ma anche per la prima parte che ripropone senza sforzo di progettualità la pura e semplice difesa del governo Draghi. Sarebbe stato opportuno da parte di due forze politiche che si propongono di sfidare la destra proporre una propria visione innovativa sul futuro della nazione. Non si può vincere la partita in termini di continuità del Governo Draghi e soprattutto mirando solo ai voti dell’opinione moderata. Il problema è il consenso delle fasce popolari a cui l’alleanza Calenda-Letta abdica. Che succede a queste fasce popolari? Vengono lasciate alla destra o consegnate all’astensione? La verità è questa alleanza confluisce sul centro. Quello che è veramente eclatante è che noi abbiamo da una parte una destra molto aggressiva che rappresenta un’incognita e un centro frammentario privo di contenuti che ruota intorno a Calenda. Dall’altra parte c’è una sinistra assente che non è riuscita ad agire in tempo. Sarebbe stato indispensabile partire prima con analisi politiche nuove, non si può rimanere agli anni Ottanta. E quello che abbiamo a sinistra sarà probabilmente solo un’alleanza di gruppi che finiscono per essere indeboliti, che non riescono a trovare – anche se lo spero ancora – un punto di contatto con i 5 Stelle”.
È coerente da parte di Letta aver escluso i 5Stelle che da ultimo non hanno votato la fiducia al Governo Draghi e imbarcare Fratoianni che non l’ha mai fatto?
“Assolutamente no. Il punto è che c’è stata una demonizzazione dei 5 Stelle anche rispetto alla caduta del Governo Draghi. Che equivale a voler eliminare lo spettro del populismo ed evitare però così anche il confronto con il popolo, con le esigenze che vengono dal basso e di cui il M5S si è sempre fatto portavoce. Questa alleanza di Letta e Calenda è, ripeto, l’emblema di questa separazione élite-popolo ma è anche incoerente tatticamente. Se si deve contrastare la destra che rappresenta un pericolo, se non in termini di nuovo fascismo sicuramente dal punto di vista politico e costituzionale, sarebbe stato necessario un fronte popolare che comprendesse tutte le forze, anche quella del M5S, esclusa per motivi incomprensibili”.
E invece?
“Invece ci stiamo arroccando in un centro moderato all’insegna di Draghi con Calenda e in tutto questo la mano tesa del Pd a Fratoianni di Sinistra italiana suona ipocrita. Sinistra italiana e Verdi finirebbero per essere la figlia di fico per permettere a Letta di dire che c’è qualche contenuto di sinistra. Per Sinistra italiana entrare in questa alleanza sarebbe invece un suicidio, si tratterebbe di accettare un ruolo subalterno e aleatorio. Ma c’è una cosa che non capisco. Ovvero in che modo Calenda possa essere il protagonista della vita politica italiana. Su quale basi? Mi chiedo quale sia quantitativamente la percentuale di cui gode e perché dovrebbe giocare un ruolo così preponderante uno che propone contenuti dozzinali, che non propone un’agenda di innovazione del futuro. Anzi mette sul tavolo temi reazionari come sull’ambiente, sulla politica estera, sulla questione sociale”.
Ma il campo di Letta rimarrebbe sempre scoperto a sinistra anche se vi facessero parte Fratoianni e Bonelli?
“Sì, assolutamente. E in questi termini non era mai avvenuto in Italia. E questo campo di Centro è ancora più sconcertante se pensiamo alla situazione economica e sociale di tante fasce della popolazione. Questo centro di Letta e Calenda non parla di giovani, di lavoro, di quelle politiche di inclusione di cui avremmo bisogno. Per non parlare della guerra e della linea di politica estera che porta avanti”.
Il M5S potrebbe occupare lo spazio rimasto vuoto a sinistra?
“Sì e in parte già lo occupa. Avevo sperato che ci potesse essere una nuova alleanza tra le forze della sinistra che non si riconoscono nel Pd e quello che resta del Movimento. Ma penso che, al di là di quello che sarà il risultato elettorale, si deve ripartire da qui. Bisogna darsi da fare perché in Italia c’è una sinistra diffusa, persone che non sono d’accordo con la politica perseguita dal Governo Draghi, una sinistra diffusa che ha punti di riferimento precisi sulla questione sociale, sui diritti umani, sull’immigrazione, sull’ambiente. Questo c’è ma non riesce a coagularsi perché abbiamo bisogno di nuovo pensiero, di nuove riflessioni. C’è bisogno di tempo”.
Un’alleanza tra M5S, Sinistra italiana e Verdi, sarebbe stata più naturale?
“Sì. Io personalmente mi ero augurata un’alleanza tra M5S, Fratoianni, Bonelli e Unione popolare”.
Secondo i sondaggi la percentuale di chi non andrà a votare rimane altissima.
“Questo è un grave problema che viene affrontato quasi in termini di rassegnazione. Pensare che la metà degli italiani si asterrà non è più accettabile. Il punto è che non si può porre la questione del voto come fosse un compito etico. Chi vota si deve riconoscere nelle lotte, nei contenuti, nei temi che un partito è in grado di proporre. E tutto questo manca”.
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