Altro che tregua, c’è stato lo strappo netto lontano dalle luci dello streaming. E un solo vero annuncio: il tour elettorale di Matteo Renzi per i prossimi 10 mesi. La guerriglia interna continuerà quindi per tutta l’estate, con l’ulteriore deterioramento dei rapporti con il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini. La direzione nazionale del Partito democratico finisce com’era iniziata: con le varie anime divise tra di loro, che promettono lealtà a Renzi e lui che ha scandito, parafrasando una canzone di Guccini: “Chi non è d’accordo, quella è la porta”. Tanto che le minoranze del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, non hanno votato la relazione. Del resto quando i capicorrente hanno preso la parola, hanno bastonato la linea del leader. Soprattutto sul tema delle alleanze. “Se noi parliamo di alleanze i cittadini non se ne accorgono”, ha liquidato la questione il segretario dem, sostenendo che la questione “interessa a 3 o a 300 e non passerò i prossimi mesi a parlare di coalizioni”.
E nel corso dell’incontro a Largo del Nazareno ha offertouna prova di forza nel partito: “Non rispondo ai capicorrente, ma ai 2 milioni di persone che hanno votato alle primarie”. Nel mirino è finito soprattutto Orlando: “Lui vuole aiutare Pisapia, io il Pd”. E non ha risparmiato una frecciata a Franceschini: “Il quotidiano La Repubblica non è una sede di partito in cui discutere”, in riferimento alle interviste. Mai ha cercato di sotterrare l’ascia da guerra: “Il Pd deve fare squadra. Questa comunità politica negli ultimi anni ha portato a casa risultati, smettiamo di lamentarci e iniziamo a progettare”. Le uniche concessioni a un clima più unitario sono state la promessa di accelerazione sullo Ius soli: “È un principio di civiltà” e la convocazione di una “conferenza programmatica” tra ottobre e novembre. Dalla minoranza, comunque, non c’è stato alcun ammorbidimento. “Non facciamo caricature fra di noi. Nessuno vuole rifare l’Unione”, ha scandito Orlando, che ha rilanciato la sua sfida: “Non sono nostalgico dell’Unione, e Pisapia non è Ferrero. Se siamo in grado di costruire una coalizione è perché nel frattempo c’è stato il Pd. Al tempo dell’Unione il Pd non c’era”.
Agguati interni – Il primo altolà era arrivato da Franceschini, che si è rivolto direttamente a Renzi: “Parlare di alleanze e di legge elettorale non vuol dire mettere in discussione il segretario. Me lo ricordo che sei stato eletto da 2 milioni di persone”. E ha quindi replicato con durezza: “C’è anche una comunità di parlamentari, militanti, sindaci, iscritti che ti hanno scelto, ma per questo non hanno rinunciato al pensiero e alla parola. Io sono tra i 350 residuati bellici che pensa che si debba parlare del tema delle alleanze. Da soli non si vince”. Franceschini ha poi invitato Renzi a essere più aperto: “Un segretario ascolta la comunità, senza vedere un tradimento o un complotto dietro a chi la pensa diversamente”. L’unico big a tendere la mano a Renzi è stato il presidente del Pd, Matteo Orfini: “Parlare di alleanze negli organismi dirigenti è giusto. Sono d’accordo. Magari non tutti i giorni sui giornali o facendoci la campagna elettorale”.