Ai tempi dell’inchiesta sul “caso Bibbiano” in tanti tra avvocati a mamme in tutta Italia avevano levato gli scudi sottolineando che quello che si credeva fosse un caso isolato, in realtà era più diffuso di quello che si potesse credere. E oggi, a distanza di quasi un anno e con un processo ancora da tenere, scopriamo che un caso simile si è verificato nel corso degli anni anche nel Lazio. Protagonista della vicenda è Giada Giunti, a cui le sarebbe stato ingiustamente sottratto il figlio, che oggi ha 13 anni. Della questione si è occupata in un’interrogazione la deputata ex M5S (oggi nel gruppo Misto) Veronica Giannone e pochi giorni fa è arrivata anche la risposta del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che ha posto un sigillo importante sulla vicenda, riconoscendo come, stando alla ricostruzione della parlamentare, più di qualcosa non torna.
Ma partiamo da principio. È il 2010 quando Giada chiede la separazione dal padre del bambino: “Erano anni che subivo, non ho mai avuto il coraggio di denunciare, ma Alessio (nome di fantasia, ndr) vedeva tutto e la situazione era diventata pesantissima”. Durante la prima udienza il padre chiederà senza successo, che Alessio gli venga affidato. In Corte d’appello, dopo aver denunciato la madre di non essere in grado di accudire il bimbo, chiede addirittura che venga messo in casa famiglia. La proposta viene accettata e i giudici dispongono una consulenza tecnica per valutare le capacità genitoriali della madre. Qui accade qualcosa di molto strano: la consulente nominata dal Tribunale fa valutare il profilo psicologico della mamma ad una associazione che, secondo la denuncia della Giannone, ha un conflitto di interesse in quanto si tratta di “un’associazione in cui la responsabile figurava nella sua stessa persona e il consulente legale era l’avvocato al quale si era rivolto l’ex marito di Giada”.
Non a caso la madre viene giudicata “simbiotica” addossandogli comportamenti del tutto inappropriati. E qui il triste epilogo: Alessio viene, senza preavviso, forzatamente prelevato da scuola e accompagnato in casa famiglia, a portarlo via, sotto gli occhi di tutti, ben otto persone, tra operati e polizia. Le prove che raccontano la realtà obbligata in cui era costretto a vivere Alessio “non verranno mai prese in considerazione dal Tribunale”. In pratica, i verbali dell’educatore non contano. A dirlo sarà proprio il giudice che, dopo aver acquisito solo alcune delle prove documentali, dichiara in sentenza: “…rimane superfluo acquisire tutti i verbali e le videoregistrazioni degli incontri avvenuti presso il servizio sociale tra madre e figlio”. Tanto basta. A nulla servirà la scelta di Alessio che scrive una lettera al giudice chiedendogli di accogliere la richiesta di tornare a vivere con la madre, un desiderio che Alessio avrà modo di ribadire più e più volte ma che resterà lettera morta.
Tanto che nell’ultima udienza viene affidato di nuovo al padre; adesso vive con lui dal 31 luglio, ma Alessio non si rassegna a questa decisione, ogni volta che può ribadisce: “Voglio tornare a vivere con la mamma, con lei era tutto più bello”. Parole riportate in un atto parlamentare, sul quale ora si è pronunciato anche il Guardasigilli. La sua risposta fa ben sperare. Bonafede, infatti, elenca una serie di leggi nazionali ed internazionali e sottolinea “il pieno diritto di ascolto del minore considerato che nel caso trattato sembrerebbe essere completamente trascurata la volontà di quest’ultimo”. “La volontà del figlio di Giada Giunti di tornare dalla sua mamma – hanno spiegato gli avvocati della donna – ad oggi ancora non è stata rispettata. Il piccolo chiede di tornare dalla mamma, ma non viene ascoltato”. Ecco perché i legali hanno annunciato che verrà presentata una nuova istanza urgente. La vicenda, dunque, non è ancora chiusa. E potrebbe presto arricchirsi di nuovi dettagli.