Di Antonello Di Lella
In vent’anni di storia la linea dettata da Silvio Berlusconi non era mai stata così tanto contestata all’interno del partito. E in questo caso la fronda del Senato, capeggiata da Renato Brunetta e Augusto Minzolini, non vuole certo fare un passo indietro. Perché quella resa, quell’appoggio per certi versi incondizionato, alla linea dettata dal segretario del Partito democratico Matteo Renzi è andata davvero di traverso. Anche nella giornata di ieri l’ex direttore del Tg1 è tornato a calcare la mano spingendo per un Senato elettivo, e non come previsto dalla Riforma in discussione. “Non penso Renzi possa far saltare il tavolo delle riforme soltanto per la richiesta dell’elezione diretta dei senatori”, ha affermato Minzolini, “perché otterrebbe comunque il superamento del bicameralismo perfetto e funzioni diversa tra le due camere”. L’idea di Minzolini, che nei giorni scorsi aveva anche affermato che con lui ci sono tutti i 37 senatori azzurri, è chiara. E il suo voto contrario alla riforma appare scontato. Salvo giravolte eccezionali. Ma non c’è soltanto il dibattito su Palazzo Madama a non far dormire sonni tranquilli a Berlusconi e, nel contempo, inasprire i peones azzurri.
Non solo Palazzo Madama
Altro punto critico resta la politica economica del governo Renzi non condivisa dai frondisti di Forza Italia, che vorrebbero una netta presa di distanze da parte del loro leader nei confronti della maggioranza di governo. Dopo il j’accuse nei confronti del presidente del Consiglio nella giornata di ieri ha scelto la via del silenzio l’ex ministro Brunetta. Per difendere la linea Berlusconi è scesa in campo invece Manuela Repetti: “Sostenere che proseguire il patto sul Senato non elettivo significhi per Forza Italia abbassare troppo la testa e rischiare di essere asfaltati mi pare una motivazione che non sta in piedi. Sarà mica paura”, si chiede la Repetti, “di rinunciare per sempre al seggio di velluto rosso?”. E anche se alla fine i dissidenti dovessero rientrare nei ranghi non si potrà certo negare lo scontro. Con la messa in discussione, questa volta davvero, della posizione del leader. Che ormai non gode più del consenso di un tempo. Neanche tra quelli che fino a qualche tempo fa poteva considerare i suoi fedelissimi.