Sono contenta che Cecilia Sala sia libera, ma mi infastidiscono certe sue dichiarazioni: mangiavo questo, mangiavo quello, c’erano schiamazzi, non spegnevano le luci. Ma cavolo, era in galera, mica in hotel a Capri. Sembra la prima persona al mondo finita in prigione.
Ada Torretta
via email
Gentile lettrice, armiamoci di pazienza, perché questo è solo l’antipasto e tra poco inizierà la maratona della Sala in tutti i talkshow. La ragazza lamenta che le davano da mangiare riso con lenticchie e carne. Non sa che è un piatto tipico del Medio Oriente e un pasto perfetto: carboidrati e proteine. Chissà invece l’ingegnere iraniano Abedini, scarcerato in cambio della Sala (come previsto da tutti i normopensanti), quanto rimpiangerà le nostre galere, notoriamente gourmet. Ogni giorno lo deliziavano con spaghetti allo scoglio, spiedini di calamari e gamberi, insalata, un calice di prosecco, tiramisù, caffè e ammazzacaffè. Intanto i giornaloni gareggiano nel narrare le prigioni di Cecilia, che fanno impallidire Silvio Pellico quale ospite dei torturatori austro-ungarici. Nella gara tra giornali Repubblica stacca tutti con colpi memorabili. Uno di questi è il titolo: “La prigionia e il nodo tortura: luci sempre accese”. Be’, anche in ospedale di notte non spengono le luci, è normale. Ma noti “il nodo tortura”. Una volta si diceva: “Mi hanno trattato bene, non mi hanno torto un capello”. Lo dicevano per esempio i pescatori di Mazara del Vallo chiusi al fresco per mesi da Gheddafi perché beccati a pescare in acque libiche. Ma adesso quelle frasi non si usano più. Adesso si dice “il nodo tortura”, è più moderno, più chic.